La splendida sede espositiva di Palazzo Bonaparte a Roma, ospita dal 12 marzo al 3 luglio 2022 la mostra antologica dell’artista scultore Jago, definito il Michelangelo del nostro tempo. Per la prima volta viene esposto il corpus completo dei suoi lavori.

Grande talento e un utilizzo sapiente dei mezzi di comunicazione fanno di Jago l’incarnazione dell’artista contemporaneo. Amato non solo dalla critica ma anche dal pubblico. Il suo amore per l’arte e le dirette streaming del processo creativo dei suoi lavori lo rendono simile ad una star. Uno scultore che ha anche il merito di avvicinare i giovani al mondo dell’arte.

Jago
Il vero nome di Jago è Jacopo Cardillo (Frosinone, 18 aprile 1987). Studia al Liceo Artistico e si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Frosinone che però abbandona prima del conseguimento del diploma. All’età di 24 anni viene presentato dalla storica dell’arte Maria Teresa Benedetti (che è anche la curatrice della mostra di Palazzo Bonaparte) a Vittorio Sgarbi, noto critico d’arte e divulgatore. Sgarbi lo seleziona per partecipare alla Biennale di Venezia del 2009. L’opera esposta sarà il busto in marmo di Papa Benedetto XVI. La sua carriera decolla velocemente e lo porta ad esporre in varie città del mondo. Dal 2016 ha vissuto e lavorato in Cina, America ed Emirati Arabi.

Jago ha ricevuto numerosi riconoscimenti come la Medaglia Pontificia conferitagli dal Cardinal Ravasi nel 2010, il premio Gala de l’Art di Montecarlo nel 2013 e il premio Pio Catel nel 2015. Nel 2019 è stato il primo artista ad inviare una scultura interamente realizzata in marmo su una stazione spaziale: First Baby.
Jago e la scultura
“Mi considero un uomo e uno scultore del mio tempo. Utilizzo il marmo come materiale nobile legato alla tradizione ma tratto temi fondamentali dell’epoca in cui vivo. Il legame con il mondo è fortissimo. Guardo a ciò che mi circonda, gli dò forma e lo condivido”.
”La mia scultura è lingua viva. Utilizzare una lingua non significa copiarla. Mi riconosco in un linguaggio e lo adotto: sento l’esigenza di realizzare un collegamento con quello che vedo, senza spirito di emulazione. Sono me stesso”.

Questi sono alcuni dei pensieri dell’uomo che da bambino sognava di essere come Michelangelo. Jago è l’artista prodigio della scultura contemporanea. La sua passione, la sua dedizione al lavoro, la ricerca del marmo, la capacità di vedere l’opera finita all’interno del blocco informe, hanno portato i critici a paragonarlo al grande artista toscano. E la sua onestà, il suo desiderio di perseguire gli obiettivi senza piegarsi alle regole spesso obsolete delle Accademie e dei compromessi, lo rendono anche caratterialmente una personalità esuberante dalle sfaccettature caleidoscopiche non inquadrabile in schemi prestabiliti.
Le opere
Le prime opere in mostra sono i sassi raccolti nel greto del fiume alle pendici delle Alpi Apuane. Da quei sassi informi fuoriescono opere dalla verità disarmante e dalla storia personale. Quei sassi levigati dal tempo e dall’acqua prima ancora che dalla mano dell’artista, diventano pensiero e contenuto sul significato della vita.

Excalibur (2016), nome che rimanda ai cavalieri di re Artù, non è la spada nella roccia della leggenda. È un fucile kalašnikov inserito in un sasso. Strumento di guerra e di morte mai così attuale come in questi mesi.

Sphynx (2018), è un sasso che si svela per mostrarci un tesoro al suo interno.

Memoria di Sé (2015), è una scultura affascinante sull’uomo, la presenza e il ricordo in un dialogo incessante tra l’essere e il divenire.

Habemus Hominem
Quando nel 2009 Jago viene scelto da Vittorio Sgarbi per partecipare alla Biennale di Venezia, espone nel Padiglione Italia un busto in marmo dell’allora Papa Benedetto XVI, ritratto senza occhi ispirato al grande busto di Papa Pio XI realizzato da Adolfo Wildt nel 1926 e conservato ai Musei Vaticani. Nel 2013 il papa Benedetto XVI rinunciò al suo incarico e Jago decise di trasformare il busto del papa per attualizzarlo e renderlo protagonista della circostanza.

Lo spogliò quindi dei paramenti sacri rivelando allo spettatore il busto emaciato e rugoso dell’uomo: il pontefice non più come simbolo di potere ma come uomo comune, debole e segnato dal tempo in tutta la sua fragilità.

L’opera è stata ribattezzata Habemus Hominem e il volto, a cui sono stati dipinti gli occhi, si volge verso di noi con dolcezza e una certa complicità.

Apparato circolatorio
L’opera del 2017 è composta da trenta cuori in ceramica che rappresentano una pulsazione cardiaca.

È un’opera che potremmo definire di indagine anatomica e scientifica ma al di là dei meccanismi biologici, è un’installazione dedicata agli amici scomparsi. Il cuore come simbolo di vita e di morte. Significato da indagare e scoprire oltre la mera rappresentazione artistica.

Venere
Non immaginatevi la Venere di pura bellezza e perfezione realizzata da tanti artisti del passato e del presente. La Venere di Jago del 2018 è una donna anziana, che non ci seduce con le armi della giovinezza e dell’inganno.

È una donna con le sue imperfezioni dovute all’età ma che non rinuncia ad una certa seduzione in una posa aggraziata. Quello che vuole trasmetterci Jago è la ricerca della verità, della bellezza nell’imperfezione. Argomento che andrebbe approfondito in un mondo devastato dalla ricerca di una bellezza falsa e costruita!

First Baby
Nel 2019, per la missione Beyond dell’ESA, Jago è stato il primo artista ad aver inviato una scultura in marmo nello spazio che è stata gelosamente custodita e fotografata dall’astronauta Luca Parmitano.

L’opera di appena 200 grammi reca l’impronta di Jago impressa con il sangue a causa dell’impossibilità di firmarla viste le ridotte dimensioni dell’opera.

Figlio Velato
Ricordate il famoso Cristo Velato, opera celeberrima di Giuseppe Sammartino del 1753 conservata nella Cappella Sansevero di Napoli? È stata l’ispirazione per Figlio Velato di Jago e scolpita a New York nel 2019. Il bambino è disteso e coperto da un velo, simbolo di quell’infanzia bistrattata ed abbandonata agli orrori delle guerre, della fame, della solitudine e delle violenze perpetrate dagli adulti nei loro confronti.

Pietà
Ed ecco La Pietà, l’ultima opera realizzata dall’artista nel 2021. Iniziata a New York, definita con il gesso ad Anagni e scolpita nel marmo a Napoli nella chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi, studio di Jago.

La Pietà non solo come riferimento al celebre episodio biblico e alla grande opera di Michelangelo conservata nella Basilica di San Pietro a Roma. Pietas come compassione, misericordia, amore. Il momento della consapevolezza in cui si rende manifesta la perdita, il dolore per il figlio morto, abbandonato tra le braccia del padre. Nella sala del museo si trova il bozzetto in argilla e la fotografia scattata dal fotografo Manu Brabo durante la guerra in Siria che è stata fonte di ispirazione per l’artista.

Jago, l’arte e la vita
Non conoscevo Jago prima di visitare la mostra a Palazzo Bonaparte. È stata una piccola epifania, un regalo inaspettato nel peregrinare della vita. Le sue opere mi hanno colpito in profondità. Fanno riflettere, inducono al pensiero e alla ricerca. Ho voluto addentrarmi nella conoscenza di questo artista leggendo le interviste rilasciate alla carta stampata e ai media. Ho scoperto un giovane uomo estremamente maturo, libero, consapevole del proprio talento e molto generoso.

Nel voler comunicare, soprattutto con i giovani, rendendoli partecipi con le dirette streaming del processo creativo e ispirandoli al pensiero unico e singolare. Senza uniformarsi alla comune mediocrità. È un artista che merita tutto il successo che sta riscuotendo e il paragone con Michelangelo anche se può sembrare inappropriato è invece calzante ed incisivo. Ci sprona a credere che nell’arte si possa fare ancora molto, lavorando con tenacia, passione, dedizione assoluta e tanta energia.
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