Ai Weiwei è il più rappresentativo, iconico e poliedrico artista cinese contemporaneo. Nel mese di marzo ha potuto usufruire di un palcoscenico d’eccezione per mostrarci i suoi vari talenti: la città di Roma.
Ai Weiwei
Ai Weiwei (Pechino, 28 agosto 1957) è il figlio del famoso poeta cinese Ai Qing. Il padre fu censurato ufficialmente come di destra per aver criticato il regime comunista e venne esiliato nel 1958 con la sua famiglia nel nord-est della Cina. Successivamente nei deserti dello Xinjang nel nord-ovest del paese.
Venne riabilitato solo nel 1976. Ai Weiwei studiò alla Beijing Film Academy per poi trasferirsi nel 1981 negli Stati Uniti. Lì scoprì le opere di Marcel Duchamp e Andy Wharol. Tornato in Cina nel 1993 per prendersi cura del padre malato, ha contribuito alla fondazione dell’East Village di Pechino, una comunità di artisti d’avanguardia. Nel 2000 ha avviato il suo studio di architettura Fake Design.
Il suo blog aperto nel 2006 venne chiuso dalle autorità cinesi nel 2009 e nel 2011, dal 2 aprile al 22 giugno è stato imprigionato dalla polizia cinese per la sua opposizione al regime. Alcune settimane dopo è stato operato alla testa in Germania in seguito alle percosse subite durante la detenzione. Nel 2015 gli è stato restituito il passaporto. La sua creazione artistica va di pari passo con la sua connotazione politica di dissidente.
Ai Weiwei al Teatro dell’Opera di Roma
Il 22 marzo 2022 è stato il giorno della prima rappresentazione dell’opera lirica Turandot di Giacomo Puccini al Teatro dell’Opera di Roma. L’allestimento è stato ideato e curato in ogni aspetto (regia, scene e costumi) da Ai Weiwei.
È stato anche il suo debutto come regista teatrale. Una scelta poco conforme alle sue varie esperienze artistiche dissacratorie e critiche nei confronti dello status quo dell’arte ma che ha rappresentato un omaggio al suo passato. Giovane artista squattrinato emigrato a New York, aveva lavorato come comparsa nella Turandot di Franco Zeffirelli nel 1988 al Metropolitan Opera House.
L’Opera per Ai Weiwei
Dice Ai Weiwei: “È emozionante immergersi nello sviluppo storico dell’opera e della drammaturgia, metterli in relazione con la mia esperienza personale e con la mia idea del palcoscenico e della performance, della rappresentazione. L’opera lirica è una forma d’arte incredibilmente ricca che stimola le migliori qualità dell’ingegno umano, la maestria, l’eccellenza. Sarà il mio punto di vista, la lirica immersa nella contemporaneità. Ho cercato di creare con le scene, i costumi e i video un’esperienza operistica totale, con immagini nuove per creare un’opera musicale ma allo stesso tempo scultorea e visiva. I costumi riflettono la tradizione, ma le idee che ispirano sono davvero legate alla cultura contemporanea di oggi.
È un miracolo che chiude un cerchio essere qui dopo 35 anni e aver avuto l’opportunità di dirigere quest’opera.”
Lo stile
Ai Weiwei ha voluto restituire alla sua Turandot la visione che nel primo Novecento l’Occidente aveva dell’Estremo Oriente ma nel contempo ha voluto tenere gli occhi aperti sulle tragedie odierne.
I costumi giocano con i colori della più preziosa tradizione cinese, con i simboli della grande Cina, come i 12 animali dello zodiaco. I video proiettano le immagini delle grandi metropoli cinesi contemporanee, città dai grattacieli altissimi e sfavillanti di luci fantasmagoriche, ma anche gli scontri di piazza tra polizia e manifestanti, tra lacrimogeni e bombe molotov. In riferimento alla pandemia scorrono fotogrammi di corsie di ospedale, mascherine e città deserte. Non mancano le immagini dei profughi, rifugiati e clandestini sui gommoni, tema molto caro ad Ai Weiwei che ne ha fatto una delle sue tante battaglie.
Un allestimento di forte suggestione non gradito a molti ma che non può certo lasciarci indifferenti, soprattutto per le visioni della guerra, così attuali e disperate, enfatizzate in questo caso anche dalla presenza sul podio della bravissima direttrice d’orchestra ucraina Oksana Lyniv.
La Commedia umana alle Terme di Diocleziano
Dal 25 marzo al 3 aprile un altro luogo meraviglioso di Roma ha ospitato una grande installazione di Ai Weiwei. Al Museo delle Terme di Diocleziano era esposta l’opera La Commedia Umana.
Un lavoro straordinario, un enorme lampadario composto da oltre duemila pezzi di vetro nero soffiato a mano dai maestri vetrai dello Studio Berengo di Murano. Le misure sono colossali, 6 metri di larghezza e 9 metri di altezza. Il peso è di 4 tonnellate.
È stata un’opera concepita durante la pandemia ma in questo periodo ha assunto con la guerra ulteriori significati. Il lampadario è composto da ossa, viscere, organi. È l’emblema della nostra caducità espressa in tutte le sue parti. L’artista ha voluto usare il vetro perché come la vita è fragile, delicato e necessita attenzioni.
La collocazione di quest’opera è particolarmente felice perché dialoga con uno straordinario mosaico in bianco e nero del III sec d. C, nella collezione permanente del museo. Trovato in un’area sepolcrale sulla Via Appia, rappresenta uno scheletro che con una mano indica il motto greco gnōthi sautón, ossia conosci te stesso. Un ammonimento per riconoscere la nostra limitatezza e finitezza. Perché del nostro passaggio non rimangano solo le ossa a farsi beffe di noi.
Immagine che ricorda le larvae conviviales, i piccoli schelestri snodabili che i ricchi romani tenevano nei banchetti e che avevano il compito di ricordare la caducità dell’esistenza. Anch’essi nella collezione permanente delle Terme di Diocleziano.
Ai Weiwei e l’antica Roma
Ha detto Ai Weiwei: “La prima volta che ho sentito parlare dell’antica Roma è stato grazie a mio padre, piü di cinquanta anni fa. Poeta, esiliato, condannato ai lavori forzati, una volta riabilitato ha potuto scrivere, come da sempre desiderava, poesie sull’antica Roma. Non avrei mai immaginato di portare una mia opera in questi stessi luoghi che lui aveva descritto. Se sono qui oggi, non è solo per la mia visione del mondo, ma anche per il legame con mio padre, che era così appassionato di questa città e della sua storia.”
Per quanto riguarda la scelta di un oggetto come il lampadario, l’artista ha spiegato di voler includere un oggetto glamour che si espone in un’abitazione per includere il tema della morte nella quotidianità, per connettere un oggetto di design con quello che succede al di fuori delle nostre case, nel mondo.
“Bisogna coesistere con la morte, non cancellarla. L’artista ha la responsabilità di concentrarsi sull’umanità e di continuare a chiedersi chi sta morendo, perché e come.”
Tra i video proiettati nella Turandot al Teatro dell’Opera, Ai Weiwei ha inserito anche il mosaico con lo scheletro del museo romano.
Change of Perspective
Il terzo appuntamento romano per Ai Weiwei è una mostra personale ospitata nella Galleria Continua all’interno dell’Hotel St.Regis. L’esposizione si intitola Change of Perspective ed è aperta dal 25 marzo fino al 7 maggio 2022. Nelle opere in mostra è evidente la filosofia dell’artista: il significato delle tradizioni, la cultura millenaria vista con rispetto ma anche la capacità di proiettarsi nella modernità con dissacrazione e rottura. Ai Weiwei interpreta la tradizione in modo ludico ed iconoclasta per arrivare al suo obiettivo a volte nascosto, a volte dichiarato, della critica al sistema politico.
Dice l’artista: “Penso che le mie opere siano profondamente radicate nella comprensione della tradizione cinese, sono un uomo contemporaneo, penso che reinterpretare l’artigianato sia molto importante, distruggere e dissacrare è un modo per comprendere quello che è successo in passato”.
Le opere
Wave Plate è un raffinato piatto in porcellana con finitura celadon grigio-verde che richiama le proprietà della giada.
Il motivo dell’onda che si sviluppa fino a culminare in un vortice è un omaggio all’arte della dinastia Yuan (1271- 1368), in cui l’acqua era un tema ricorrente.
Set of Spouts è una scultura in porcellana realizzata con beccucci di teiere rotte. È un riferimento alla cultura del tè in Cina ma anche agli abusi dei diritti degli individui. La frase “Prendiamo un tè” è spesso un eufemismo con cui i gendarmi dell’ordine cinese invitano ad un primo interrogatorio. SPOUT sinifica anche “sputare” ed evoca la storia del nostro artista che è considerato un ribelle oppositore, “uno che sputa opinioni inaccettabili” .
Ad alcuni personaggi italiani del passato considerati scomodi e controversi, Ai Weiwei ha dedicato alcune opere in mostra. Sono ritratti realizzati con la tecnica a mosaico utilizzando quasi diecimila mattoncini Lego. Dante Alighieri, condannato in contumacia e mandato in esilio, Filippo Strozzi, bandito dalla famiglia Medici e rientrato a Firenze dopo vent’anni. Galileo Galilei, rivoluzionario scienziato toscano emblema della libertà di pensiero, incarcerato e processato per aver difeso le proprie idee. Girolamo Savonarola, frate predicatore inviso alla Curia, giustiziato per i sermoni contro la Chiesa di Papa Borgia. I volti sembrano immagini della Pop art, mutuati da Andy Wharol, utilizzando il materiale democratico dei mattoncini Lego, che tutti conoscono e che tutti possono avere.
Il percorso espositivo si conclude nella hall dell’albergo con l’opera Palace, frutto della collaborazione dell’artista e alcune comunità brasiliane. Individuate le radici e i tronchi di un albero in via di estinzione, il Pequi Vinagreiro, questi elementi sono stati modellati per creare sculture dalle forme inusuali. Tra i marmi e i cristalli della luminosa hall dell’hotel, Palace ci disorienta e ci incanta, creatura selvaggia eppura domata, carica di magia.
Ai Weiwei uomo e artista
Ai Weiwei non è una delle tante star del sistema dell’arte contemporanea e non è nemmeno solo un attivista rivolto ai problemi della modernità. È un libero pensatore che dimostra di voler dare all’arte un importantissimo ruolo sociale, rischiando la vita per difendere i principi irrinunciabili che definiscono un uomo nel senso più completo e nobile del termine.
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