Il termine catacresi o metafora morta si riferisce ad una metafora che ha perso la sua forza, profondità e originalità entrando a fare parte della comunicazione reale, dato il suo utilizzo ripetitivo. In questo articolo, dopo aver presentato i vari punti di vista di alcuni dei più importanti linguisti che si sono espressi su questo tema, tenterò di creare un collegamento tra il concetto di catacresi e quello di espressione idiomatica, avvalendomi di alcuni importanti risultati raggiunti nell’ambito della linguistica cognitiva negli ultimi decenni.
Prima di iniziare il dibattito sull’argomento in questione, è opportuno delineare in linee generali il concetto di metafora. Quest’ultima è la sostituzione di un termine proprio con uno figurato, in seguito ad una trasposizione di immagini, che produce una forte carica espressiva. Etimologicamente, il termine metafora deriva dal greco μεταφορά, da metaphérō, “io trasporto”. Andando a sondare la struttura interna di una metafora, si riesce a carpire il suo significato essenziale etimologico. Andiamo a vedere perché. In base all’analisi proposta dal linguista Ivor Armstrong Richards, la metafora consiste di due elementi costitutivi essenziali, il veicolo e il tenore. Il primo è il termine dal quale si estrapola la caratteristica che va applicata sul secondo. Per semplificare la spiegazione, prendiamo in considerazione la metafora Achille è un leone. In questo caso il termine leone rappresenta il veicolo mentre Achille è il tenore. Il termine leone infatti è quello dal quale vengono estrapolate quelle caratteristiche (come forza, coraggio e nobiltà) che vengono applicate su Achille, l’elemento applicato. In un altro esempio la nave ara il mare, la nave rappresenta il tenore (elemento applicato), mentre la voce verbale ara rappresenta il veicolo, cioè il termine dal quale si ricava l’attributo del movimento dell’aratro nell’agricoltura che si applica alla nave, cioè il tenore. È intuibile che maggiore è la distanza semantica tra veicolo e tenore, più forza espressiva acquisisce la metafora.
Adesso giungiamo al topic vero e proprio di questo articolo, relativo al linguaggio come miniera di metafore morte. Tra i vari esempi di metafore morte in lingua italiana, tra i più comuni vi sono : il collo della bottiglia, la gamba del tavolo e fianchi della montagna. Secondo Friedrich Nietzsche (1844 – 1900) tutto il linguaggio letterale si compone di metafore morte che vengono tenute vive mediante allusioni. Ne consegue la conclusione estrema che in realtà tutto il linguaggio è metaforico. Nel suo saggio Über Wahrheit und Lüge im außermoralischen Sinne (Sulla verità e menzogna in un senso extramorale) , il filosofo tedesco chiarisce come la verità sia “un esercito mobile di metafore, metonimie e antropomorfismi”; egli poi continua affermando che “le verità sono metafore logorate e che hanno perso forza, monete che hanno perduto la loro immagine e che quindi vengono prese in considerazione soltanto come metallo, non più come monete”. Il punto su cui insiste Nietzsche è l’impossibilità delle metafore di esprimere una realtà oggettiva. Infatti esse, dal momento che sono fatte dall’essere umano, testimoniano una prospettiva soggettiva che è propria del soggetto umano. Come prove di questa impostazione soggettiva della realtà, il filosofo adduce la tendenza ad assegnare in modo arbitrario genere maschile e femminile agli oggetti, come nel caso dell’albero maschile e della pianta femminile. In ciò si rivela il limite stesso linguaggio che non riesce a catturare l’assoluta oggettività, la cosiddetta cosa in sé. La questione che Nietzsche solleva pertiene alla sfera gnoseologica, che si occupa di stabilire limiti e modalità della conoscenza umana : quest’ultima non riesce mai ad abbracciare la realtà autentica delle cose. Nietzsche aggiunge che i concetti stessi si formano attraverso le metafore : ciascun concetto sorge dall’eguagliare il non uguale. In altre parole, essi si formano omettendo o minimizzando le differenze tra gli oggetti, come nel caso delle foglie citate nel suo saggio : certamente una foglia non è mai uguale ad un’altra, tuttavia noi minimizziamo questo fatto e impostiamo la nostra mente in modo tale da considerare tutte le foglie uguali ed ecco che si origina l’idea di foglia, una sorta di idea platonica iperuranica che è soltanto una costruzione e semplificazione soggettiva umana. Infatti la realtà testimonia una verità totalmente diversa : tutte le foglie sono diverse e sussumerle nella categoria foglia è semplicemente un nonsenso.
Durante gli anni 70’, la psicolinguistica e la linguistica cognitiva hanno sviluppato un interesse particolare per il concetto di metafora. In particolare, essa non è stata più interpretata come semplice componente del linguaggio poetico ma come cardine fondamentale dell’uso quotidiano del linguaggio. La metafora morta, in particolare, non è più considerata come una forma atipica di linguaggio, ma come un aspetto pervasivo del linguaggio ordinario. In base a questa concezione rivoluzionaria, il linguaggio appare come un cimitero di metafore morte. A causa della proliferazione delle metafore morte nel linguaggio ordinario, risulta difficile per non dire impossibile segnare una linea di demarcazione tra linguaggio ordinario e metaforico, dal momento che a causa del ricorso ripetitivo di metafore morte perdiamo consapevolezza della carica espressiva e dell’originalità metaforiche. Alcune metafore morte (come la pazienza di Giobbe o il diavolo è nei dettagli) sono così immerse in una lingua o cultura che le loro origini sono sconosciute. Ne consegue che in una metafora morta il senso dell’immagine trasferita (che rappresenta il significato essenziale della metafora e che si ritrova nella sua stessa etimologia) è assente.
Nel loro primo libro del 1980 Metaphors we live by (Metafore attraverso le quali viviamo), George Lakoff e Mark Johnson sottolineano come le metafore morte o convenzionali siano più che mai vive. Lakoff contesta il termine metafora morta spiegando che in realtà questa espressione, idea sopravvissuta della tradizione popolare della teoria del linguaggio, non possa più funzionare. In particolare, secondo Lakoff le metafore morte sono epifenomeni dell’inconscio cognitivo. L’epifenomenismo, nell’ambito della filosofia della mente, è la teoria secondo la quale i fenomeni mentali sono prodotti da processi fisici nel cervello o hanno origine da una causa comune. Tale teoria si contrappone alla concezione in base alla quale sono i fenomeni mentali a guidare i meccanicismi fisici del cervello. In quanto epifenomeni dell’inconscio cognitivo, secondo Lakoff le metafore morte o convenzionali non sono altro che programmi mentali eseguiti dal nostro inconscio mentre le parole sarebbero semplici sintomi di questi indipendenti processi mentali. La visione di Lakoff sulle metafore morte in quanto vive è condivisa anche da Zoltan Kövecses, secondo cui le metafore convenzionali (come gamba del tavolo o piede della montagna) vengono impiegate agevolmente ma ciò non significa che esse abbiano perso il loro vigore dal punto di vista concettuale. Al contrario, esse sono vive e governano il nostro pensiero.
Secondo Max Black, le metafore morte non dovrebbero più essere definite metafore ma categorizzate e nominate con una nuova etichetta. Infatti le metafore morte non sono metafore vere e proprie ma semplicemente espressioni che non hanno più un pregnante uso metaforico. Raymond W. Gibbs invece riteneva che le metafore siano veramente morte, quando perdono l’abilità a divenire metafore, il che non accade mai. Sullo stesso piano delle metafore morte si collocano le espressioni idiomatiche. Secondo Gibbs, nonostante gli idiomi, clichés o proverbi possano essere considerati alla stregua di unità semantiche congelate o metafore morte, studi condotti nel campo della linguistica cognitiva e psicolinguistica dimostrano che molte di queste espressioni convenzionali riflettono un pensiero metaforico che è più che mai vivo essendo parte dei nostri sistemi concettuali quotidiani.
In base a diverse classificazioni tassonomiche, gli idiomi sono considerati metafore morte. Il termine idioma è una frase o espressione fissa che ha un significato figurato e deriva dal greco ἰδίωμα -idioma, “caratteristica speciale o peculiarità”. Nonostante gli idiomi siano concepiti come metafore morte, accade che si riesce a dare un senso a essi perché si basano su una mappatura metaforica tra due domini concettuali. Ad esempio, l’idioma inglese John ha versato i fagioli mette in connessione la nostra conoscenza di qualcuno che rovescia un barattolo di fagioli con una persona che rivela un segreto. I parlanti inglesi intuiscono che versare i fagioli significa rivelare un segreto poiché vi sono due importanti metafore concettuali alla base come LA MENTE É UN CONTENITORE e LE IDEE SONO ENTITÁ FISICHE che strutturano le loro concezioni di mente e segreto. Nella linguistica cognitiva, la metafora concettuale si riferisce alla comprensione di un dominio concettuale, in termini di un altro. In ogni metafora concettuale si distinguono un dominio sorgente e uno obiettivo. Vi è un esempio molto importante riportato da Lakoff e Johnson nella loro opera Metafore attraverso le quali viviamo : L’ARGOMENTO É GUERRA. In base a questa metafora, l’argomento viene pensato come una battaglia da vincere. Espressioni metaforiche come “ha vinto il suo argomento” o “ho attaccato ogni punto debole nel suo argomento” fanno riferimento proprio alla metafora concettuale L’ARGOMENTO É GUERRA. I risultati di alcuni studi psicologici rivelano che i significati figurati delle espressioni idiomatiche sono spiegati da diverse metafore concettuali che esistono in modo indipendente come parte del nostro sistema concettuale. In base a questi studi, gli idiomi non sono semplici metafore morte poiché i loro significati figurati sono guidati dalla conoscenza concettuale che gli individui possiedono circa i domini cui si riferiscono. Se prendiamo in considerazione l’idioma John versa i fagioli, la comprensione di tale espressione idiomatica dipende dalla conoscenza delle metafore concettuali che sottostanno a tale idioma, cioè LA MENTE É UN CONTENITORE e LE IDEE SONO ENTITÁ FISICHE.
La seguente immagine, in cui sono raffigurati epitaffi di metafore morte, è stata dedicata alla memoria del filosofo analitico Donald Davidson (1917 – 2003) :
