Mariangela D’Abbraccio è brava quanto mai in questo lavoro impegnativo che Dacia Mariani ha adattato lei stessa per il teatro dopo aver redatto l’omonimo best-seller nel quale descrive, senza mezzi termini e senza ombra alcuna, la disgraziata vita di una donna che fin da bambine è stata abituata ad una vita dura ed amara, ad essere incompresa e che per sopravvivere ne ha veramente passare di tutti i colori.
E’ la storia di Teresa Nardecchia, orfana di madre, figlia di un contadino di Anzio manesco, privo di sensibilità che tratta i figli come se fossero bestie, lei in particolare che non vuole andare sposa ad un altro contadino e venditore di pesce che la sposerebbe soltanto perché possibile erede, alla morte del manesco, di una parte dei suoi terreni.
La vita di Teresa per come agilmente ed abilmente descritta dalla Maraini riflette la storia di un’Italia che ha vissuto la guerra, la fame e poi l’effimero progresso e l’altrettanto effimero benessere degli anni sessanta, delle vicende amare di una parte della popolazione che all’amarezza del malessere aggiunge la incapacità di uscire dalla povertà.
Teresa, ignorante perché ha poco o nulla studiato, è però dotata di un’alta dose di sensibilità umana, sensibilità che Mariangela D’Abbraccio, protagonista unica e convincente del lavoro che Francesco Tavassi porta in scena fino al 3 aprile al Teatro Vittoria di Roma, evidenzia in maniera altamente professionale recitando la parte che ha assimilato e che impersona magistralmente, descrivendo con minuzia di particolari le vicissitudini, le speranze, le delusioni che fanno da sfondo ad una vita disgraziata in partenza e che, con le musiche di Sergio Cammariere, viene esaltata riuscendo a coinvolgere il pubblico che, a volte, riesce a ridere delle disgrazie di una donna fuori del comune.
Teresa è moglie insoddisfatta, è moglie tradita che perdona anche, è ladra per sopravvivere, è donna aperta ad ogni esperienza, è amante, è donna che vive più volte la triste esperienza del carcere e che ogni volta che le appare lontanamente la fine del buio precipita di nuovo nel baratro delle umane disgrazie evidenziando una dose di sfortuna non comune; la D’Abbraccio rappresenta tutto questo con una vivacità di colore e di espressioni impareggiabile interpretando anche delicatissime canzoni che ben fanno da corollario ad una disgraziata vicenda che ha nella guerra e nel dopo guerra i tragici protagonisti.
Molto gradita ed azzeccata la presenza dell’orchestra che simboleggia i suoi fratelli, a volte vicini alla poveretta ma spesso da lei incomprensibilmente lontani.
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