Perché si scrive poesie? Il professor Keating ne “L’attimo fuggente” dice che si scrive poesie perché apparteniamo al genere umano. È una risposta affascinante, coinvolgente emotivamente ma tautologica, che dice tutto e non dice niente; poi va ricordato che oggi anche l’intelligenza artificiale è in grado di scrivere poesie. Su Internet si trovano dei generatori di poesie gratis. Già Nanni Balestrini nel 1962 aveva creato una poesia con un computer IBM. Certamente Chat Gpt non è ancora in grado di elaborare poesie memorabili, ma l’intelligenza artificiale ogni anno fa passi da gigante. La questione è complessa, articolata, sfaccettata. Si può inquadrare da molti punti di vista. Che poi ne vale la pena di scrivere poesie? Chi lo fa fare? Come si dice in Toscana “non te l’ha mica ordinato il dottore”! Che poi i poeti sono sempre di più! Come scriveva ironicamente Guccini: “Il cielo dei poeti è un po’ affollato in questi tempi”. Inoltre scrivere poesie significa spesso mettere a nudo il proprio animo e questo è un rischio perché si mostrano tarli, rovelli, ossessioni, insomma tare psicologiche. In definitiva ci si espone al pubblico ludibrio. Come se non bastasse nella modernità è avvenuta “la perdita di aureola” come scriveva Baudelaire, ma si potrebbero citare in tal senso anche Corazzini (“Perché tu mici poeta?”) e Palazzeschi (“saltimbanco dell’anima mia”). Secoli fa la poesia era considerata un’attività nobile, mentre oggi i poeti vengono denigrati, messi alla berlina oppure compatiti. Nonostante questo si continua a scrivere poesie. Da adolescenti chiunque ha scritto una poesia, che lo ammetta o meno! Ma da adulti molti smettono. Le poesie sono viste come cose da ragazzi. Benedetto Croce pensava che fino a diciotto anni tutti scrivono poesie e dopo le scrivono solo i poeti veri e i cretini. Ma perché si scrive poesie allora? Quali sono le vere cause? Rilke in “Lettera a un giovane poeta” scrive a proposito: “C’è una sola via. Penetrare in voi stesso. Ricercate la ragione che vi chiama a scrivere; esaminate s’essa estenda le sue radici nel più profondo luogo del vostro cuore, confessatevi se sareste costretto a morire, quando vi si negasse di scrivere. Questo anzitutto: domandatevi nell’ora più silenziosa della vostra notte: devo io scrivere? Scavate dentro voi stesso per una profonda risposta. E se questa dovesse suonare consenso, se v’è concesso affrontare questa grave domanda con un forte e semplice “debbo”, allora edificate la vostra vita secondo questa necessità”. Quelle che elencherò comunque sono solo ragioni di fondo, dato che ogni poeta o aspirante poeta ha un motivo prevalente per cui scrive, spesso personale, legato alla sua storia e alla sua personalità (e non è detto che i poeti interrogati a riguardo siano davvero sinceri con voi, talvolta è anche difficile essere sinceri con sé stessi). È bene perciò distinguere da motivazioni personali che possono anche essere prioritarie nei poeti e ragioni di fondo analitiche. È difficile essere esaustivi riguardo a questo tema. Per quanto sia legittimo o addirittura doveroso spiegare le ragioni per cui si scrive poesie, va anche detto che la razionalità di stampo illuminista non basta: scrivere poesie è qualcosa di primordiale, istintivo, irrazionale nell’animo umano. La poesia è qualcosa che riguarda l’emotività, l’interiorità ed è perciò spesso sfuggente alla logica deduttiva. In alcune persone c’è qualcosa di urgente che le porta a scrivere, un impulso irrefrenabile. Talvolta non se lo sanno spiegare neanche loro. Cerchiamo a ogni modo di elencare più specificamente e più dettagliatamente le ragioni, i motivi generali profondi, alcuni consci e altri inconsci, che spingono alla creazione. Allora perché si scrive?
- perché per dirla con Cassirer l’uomo è un animale simbolico.
- per combattere l’orrore e le brutture del mondo. Scrive Brecht: “In me si combattono/ L’entusiasmo per il melo in fiore/ E il terrore per i discorsi dell’imbianchino./ Ma solo il secondo/ Mi spinge alla scrivania” (il poeta dà in questo caso l’appellativo di imbianchino a Hitler, perché da giovane era stato un aspirante pittore). Però c’è in letteratura un’altra scuola di pensiero. Patrizia Cavalli scriveva: “Le mie poesie non cambieranno il mondo”.
- per non pensare alla propria morte, per distrarsi dal pensiero della morte. La poesia diventa quindi quel che Pascal chiamava divertissement.
- per soddisfare il desiderio biogrammatico di immortalità, per lasciare una traccia alla dipartita. È il cosiddetto tentativo, talvolta vano, di avere gloria postuma. Di solito le persone fanno figli per perpetuare il loro DNA e lasciare una parte di sé nel mondo. Certi poeti considerano le loro opere come delle figlie.
- per emozionarsi e fare emozionare il prossimo.
- per sublimare il proprio desiderio sessuale, che dovrebbe essere trasformato in creatività. Mi riferisco alla teoria della sublimazione di Freud. La sublimazione per il padre della psicoanalisi è un meccanismo di difesa dell’Io, che trasforma gli impulsi erotici in un’attività socialmente accettabile.
- per cuccare o conquistare la donna amata.
- per fare soldi. Ma è molto difficile fare soldi con la poesia. Se chiedete ai poeti se riescono a far pari con la poesia e se loro saranno sinceri, ebbene vi risponderanno molto spesso che ci rimettono. Si sa dall’antichità che carmina non dant panem.
- per autoterapia, per valvola di sfogo, per catarsi. La poesia diventa perciò una sorta di psicofarmaco o di una seduta analitica. È liberatoria. Ci sono ricerche che provano il legame tra disturbi dell’umore, talora disturbi psichiatrici e attività poetica. Va detto che alcuni abusano della capacità terapeutica della poesia e non si recano dallo psicologo, dallo psicoterapeuta o dallo psichiatra per risolvere i loro problemi, ma si affidano totalmente alla scrittura. Va sempre tenuto presente che la poesia non può essere sostitutiva della terapia fatta con esperti. Ci sono scuole psicoterapiche che utilizzano la scrittura, però sotto la costante supervisione degli esperti, come ad esempio la psicosintesi di Assagioli.
- per esercitare la mente. La poesia infatti è anche un’attività cognitiva. Si pensi solo all’ingegno per creare, revisionare, aggiungere, togliere, correggere, etc, etc.
- per lavorare di fantasia. Si legga a riguardo il saggio “Il poeta e la fantasia” di Freud. Nel poeta prevale la capacità immaginativa. Insomma è anche questione di immaginario.
- per dare una testimonianza (civile, politica, sentimentale, storica, etc etc), cioè per trasmettere la propria esperienza di vita, per trasmettere cultura. È il caso di dire che ogni vita merita un romanzo, come il titolo di un libro di Erving Polster. E naturalmente ogni vita merita anche delle poesie.
- Per dimostrare agli altri talento, ingegno, bravura: insomma per esibizionismo e narcisismo. Quindi per prestigio culturale, per avere legittimazione intellettuale. Non vanno certo condannati per questo aspiranti poeti e poeti riconosciuti, perché è anche vero, ricordando l’Ecclesiaste, che tutto è vanità.
- per il piacere fine a sé stesso di creare, di comporre. Per Leopardi era essenziale ciò.
- per il piacere che qualcuno si rispecchi, si ritrovi, si identifichi o almeno condivida e apprezzi i propri scritti.
- per soddisfare le pregiudiziali dei genitori, che un tempo ad esempio sono stati aspiranti poeti e non sono mai stati riconosciuti. Insomma in certe circostanze sono i genitori che vogliono i figli poeti. Celebre è il caso di Pasolini, il cui padre puntava molto sulla carriera letteraria del figlio.
- per conoscere meglio sé stessi. Scrivere è una continua scoperta di sé, una continua sorpresa. Certi pensieri sono fiumi carsici, che si riescono a vedere solo con la scrittura. A volte vengono fuori certe parole e certe idee che non ci aspettavamo, perché la scrittura è anche liberazione dell’inconscio.
- per il piacere di esprimere sé stessi (idee, sensazioni, sentimenti), di trasmettere un messaggio, di dire la propria, di dare una rappresentazione personale del mondo.
- perché si pensa di dare un nuovo contributo alla tradizione letteraria. Si pensa di poter scrivere cose nuove, originali o di dire cose già dette in modo nuovo, perché dopo millenni di letteratura forse tutto è già stato detto e restano da scrivere solo piccole note a margine.
- per catturare un attimo, descrivere un istante, per eternare un momento di rabbia, di gioia, di dolore, di tristezza, etc etc.
- per fare chiarezza dentro di sé.
- perché se è vero che aprile per Eliot “confonde memoria e desiderio”, la poesia concilia memoria e desiderio.
- per rielaborare un lutto o un’assenza. In questo caso la poesia diventa un oggetto transizionale per dirla alla Winnicott, un tramite per mettersi in contatto metaforicamente con la persona cara che non c’è più (la poesia è quindi come una ciocca di capelli che sia al defunto per avere qualcosa di lui, per ricordarlo, per pensarlo). Questa naturalmente è di nuovo attività simbolica: neanche a farlo apposta c’è sempre Cassirer, da cui avevamo iniziato.