Di colui che vide ogni cosa, voglio narrare al mondo;
di colui che apprese e che fu esperto in tutte le cose.
Di Gilgamesh, che raggiunse la più profonda conoscenza,
che apprese e fu esperto in tutte le cose.
Egli esplorò ogni paese
ed imparò la somma saggezza.
Egli vide ciò che era segreto, scoprì ciò che era celato,
e riportò indietro storie di prima del diluvio.
Tratto dalla tavoletta I – presentazione di Gilgamesh
Molto spesso quando si richiamano alla mente famosi e rappresentativi poemi epici, i primi nomi che ci sopraggiungono sono l’Iliade e l’Odissea del grande poeta greco Omero, ma se provassimo ad allargare i nostri orizzonti al di là del mondo greco o quello occidentale, che ci sono più familiari, potremmo scoprire nella multiformità delle più diverse realtà culturali e letterarie, la famosa epopea sumerica di Gilgamesh. In essa l’adrenalina dell’avventura si combina con diversi spunti tematici, dalla forza dell’amicizia alla ricerca dell’immortalità e della conoscenza, senza escludere alcuni nessi importanti con la Bibbia.
L’epopea di Gilgamesh è un antico poema dell’Antica Mesopotomia che è riconosciuto tra i primissimi testi letterari della storia umana, essendo fatto risalire nella sua prima versione al terzo millennio a.C. In questo grande poema di origine sumerica, scritto originariamente in caratteri cuneiformi e la cui versione più completa è stata scritta in lingua accadica su dodici tavole d’argilla fatte risalire al dodicesimo secolo a.C., si narrano le vicende di Gilgamesh, il re della città di Uruk, una figura mitologica per due terzi divinità e per un terzo umano. Nonostante Gilgamesh sia stato forgiato dagli dei con coraggio, forza e bellezza, per via del suo abuso di potere egli inizia a provocare uno stato di malessere e malcontento presso il popolo di Uruk. A porre rimedio a questa situazione di squilibrio interviene la dea della creazione, Aruru, che genera un potente uomo selvaggio di nome Enkidu, la cui forza mette in discussione quella del re di Uruk. Nel frattempo, Gilgamesh ha degli strani sogni che sua madre Ninsun interpreta come predizione dell’avvento di una sua futura amicizia.
Enkidu, una volta civilizzatosi e abbandonato la sua natura selvaggia, si dirige alla volta della città di Uruk, dove è in corso una cerimonia nuziale. In questa occasione si imbatte in Gilgamesh, lo affronta e gli rimprovera il suo trattamento delle donne e la violazione dei sacri vincoli del matrimonio. Segue lo scontro tra i due durante il quale Gilgamesh, pur prevalendo sull’avversario, interrompe la lotta, risparmiandogli la vita. Da quel momento in poi si sviluppa una forte amicizia tra i due dalla quale entrambi trarranno vantaggio, migliorando ciascuno dei due la propria personalità. Ad esempio, Gilgamesh grazie ad Enkidu apprende le virtù della pietà e dell’umiltà, insieme al coraggio e alla nobiltà.
Trascorsi alcuni anni caratterizzati da un clima pacifico e sereno, Gilgamesh ha in mente un piano, cioè raggiungere la Foresta dei Cedri ed abbattere il guardiano della stessa foresta, il mostro demone Humbaba. Nonostante Enkidu non appoggi il piano del re di Uruk, sottolineando come la Foresta dei Cedri fosse un luogo sacro agli dei e proibito ai mortali, e la stessa madre Ninsun si sia lamentata per questa iniziativa del figlio, nessuno dei due riesce a dissuadere Gilgamesh dai suoi propositi. A questo punto, Ninsun invoca il dio del sole Shamash per ottenere il suo supporto ed offre ad Enkidu dei consigli preziosi, considerandolo come un figlio adottivo. Durante il tragitto verso la Foresta dei Cedri, Enkidu incoraggia Gilgamesh ogniqualvolta quest’ultimo viene preso dallo sconforto, interpretando come presagi positivi alcune visioni negative del suo amico. Una volta raggiunto il mostro Humbaba, i due amici lo affrontano e lo sconfiggono, anche grazie all’aiuto dei venti inviati dal dio del sole Shamash. In un primo momento, avendo il mostro implorato Gilgamesh di risparmiargli la vita, quest’ultimo, mosso da sentimenti di pietà, rinuncia ad ucciderlo, nonostante Enkidu avesse suggerito di farlo; ma quando lo stesso mostro maledice entrambi i suoi avversari, il re di Uruk non esita ad ucciderlo. Dopodichè, i due guerrieri abbattono un enorme albero di cedro che viene utilizzato come porta per gli dei.
Successivamente, la dea dell’amore e della guerra Ishtar cerca di sedurre Gilgamesh ma questi la respinge, scatenando la reazione della dea che chiede al padre Anu, dio del cielo, di inviare il Toro Celeste. Quest’ultimo porta con sé nella città di Uruk piaghe e siccità ma viene massacrato da Gilgamesh ed Enkidu, questa volta senza aiuto divino. Nonostante il clima di festa che dominava la città di Uruk per la vittoria appena conseguita, Enkidu ha un brutto sogno in cui gli dei avevano deciso di punirlo per l’uccisione del Toro Celeste e del demone Humbaba. E questa volta il sogno è premonitore poiché la situazione ben presto precipita per Enkidu che maledice la porta fatta per gli dei, con la sua salute che giorno dopo giorno peggiora inesorabilmente conducendolo alla morte.
A questo punto Gilgamesh decide di intraprendere un viaggio irto di difficoltà alla volta di Dilmun, un luogo bellissimo e distante in cui dimora Utnapishtim insieme a sua moglie, gli unici due uomini sopravvissuti al Grande Diluvio e ai quali era stata concessa l’immortalità, nella speranza di carpire il segreto dell’immortalità. Infine, Gilgamesh giunge ai picchi del Monte Mashu alla fine del mondo, il cui ingresso è sorvegliato da due terribili guardie scorpioni che consentono all’eroe di proseguire il suo percorso, dopo essere stati convinti sulla sua natura divina. Dopo aver attraversato un lungo e oscuro tunnel, Gilgamesh si trova davanti ad un mondo luminoso, ricco di foglie di gioielli. Dopo aver attraversato il Mare della Morte, l’eroe raggiunge l’immortale Utnapishtim che gli racconta come sia riuscito a sopravvivere in seguito al Grande Diluvio. Il racconto inizia con una grande tempesta ed un gran diluvio causati dal dio Enlil che intendeva portare distruzione in tutto il mondo, per via della confusione che in esso dominava. Avendo il dio Ea anticipato ad Utnapishtim la notizia del diluvio, questi era riuscito a trarsi in salvo, costruendosi un’arca e imbarcando su essa la sua famiglia, i semi di tutti gli esseri viventi e tutti i suoi tesori. Così quando giunse il diluvio, tutto il mondo fu sommerso tranne l’arca di Utnapishtim che si arenò sul monte Nisir. Nonostante la rabbia del dio Enlil per il fatto che Utnapishtim era sopravvissuto al Grande Diluvio, grazie all’intercessione del dio Ea, l’anziano saggio ottiene l’immortalità dagli dei insieme alla moglie.
Nonostante Utnapishtim non fosse così convinto di voler offrire a Gilgamesh ciò che egli stesso aveva ottenuto in dono dagli dei, alla fine decide di concedere al re di Uruk una possibilità. In particolare, a Gilgamesh viene chiesto di restare sveglio per sei giorni e sette notti, ma l’eroe di Uruk si addormenta subito dopo aver ascoltato la richiesta. Dato il suo evidente fallimento, Gilgamesh viene ridicolizzato da Utnapishtim, il quale gli fa presente che non poteva vincere la morte se non riusciva a vincere neppure il sonno. Proprio mentre l’anziano saggio lo sta per rispedire nella sua città di Uruk, interviene sua moglie che invita il marito a mostrare pietà per il lungo viaggio intrapreso da Gilgamesh. A questo punto, Utnapishtim cede all’invito della moglie ed indica all’eroe una pianta situata sul fondo dell’oceano che gli avrebbe garantito l’immortalità. L’intenzione del re di Uruk è quella di ringiovanire tutto il popolo anziano della sua città oltre che se stesso. Sfortunatamente, egli colloca la pianta sulla riva di un lago e questa gli viene sottratta da un serpente la cui vecchia pelle si sostituisce con una nuova. Gilgamesh torna sconsolato ad Uruk e restaura tutti i centri devastati del diluvio, giungendo in modo naturale alla fine dei suoi giorni, come tutti i mortali. Prima di morire egli fa incidere le sue avventure su una stele di pietra.
L’epopea di Gilgamesh è un poema epico interessantissimo anche per i nessi che si possono individuare con alcuni episodi biblici. Infatti nella Bibbia accade che Adamo ed Eva perdono l’occasione dell’immortalità a causa di un serpente così come succede con Gilgamesh nel poema epico di origine sumerica. Inoltre la descrizione del Diluvio Universale è simile nelle due narrazioni, quella biblica dell’arca di Noè e quella epica con protagonista Utnapishtim. L’epopea di Gilgamesh, nonostante la sua antichità, ci offre importanti spunti di riflessione sul tema della mortalità umana, della ricerca della conoscenza e del valore della saggezza.