MERCOLEDÌ, ORE 02:34, MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA.
Due ombre sinuose strisciano nella notte, un uomo e una donna. Sorpassano l’entrata del Museo, percorrono ancora qualche metro, lungo il perimetro, si fermano vicino a una finestra.
Lui dice a lei: “Forza, passami l’incisore.”
Lei: “Non mi piace il tuo tono. Ma tieni.”
Gli passa l’incisore.
“Grazie, Karen.”
“Ah… Adoro questa parte.”
Lui fa il finto tonto, mentre incide il vetro: “Quale parte?”
“Quella in cui mi inizi a chiamare per nome, Clive…” risponde lei, “…e fai quello serioso che mi dà spiegazioni che non capisco per sembrare sexy.”
“Intendi quando ti spiego come un piccolo impulso elettrostatico inviato tramite la nostra apparecchiatura portatile appositamente mandata in corto riesca a disturbare per qualche secondo i circuiti dell’allarme perimetrale esterno, permettendoci di rimuovere il vetro e infiltrarci prima che il segnale del centralino riprenda a funzionare correttamente?”
Karen non risponde, ma sorride e preme il pulsante che Clive le porge.
Lui, estraendo la sagoma di vetro con una ventosa: “Allora, ti sono sembrato abbastanza sexy?”
“Terribilmente.” lo stuzzica Karen. “Mio adorabile Nerd.”
Clive le fa il gesto di entrare per prima. In un paio di secondi sono entrambi dentro.
“Queste piastrelle rimbombano un sacco ma non ci sono audio-allarmi, quindi possiamo anche saltellare fino al quadro.”
“Se me lo dicevi prima mettevo i tacchi. Così magari anch’io potevo impressionarti.”
“Dobbiamo smetterla di flirtare sul lavoro…” fa lui.
“Dobbiamo?” lo stuzzica lei.
Arrivano nella stanza del quadro. è una stanza grande, attraversata da un sacco di Laser. Laser mobili, ovviamente.
“Ora arriva la mia parte preferita, il tuo turno!” commenta Clive.
“Banale.”
“Lo sai, sei troppo sexy quando ‘balli’… Dovrò fare un altro po’ il nerd, o rischio di perdere la sfida a chi è più sexy durante il colpo!”
“Direi proprio di sì.” concorda Karen, mentre fa stretching.
I Laser continuano a muoversi incessantemente. Esiste un pattern, ma è auto-variante. Emerge e si ripete soltanto su tempi lunghi, di cui i due ladri non dispongono. Bisogna improvvisare, e non c’è nessuno che sappia farlo meglio di Karen.
“Lo sai che ‘Laser’ in realtà è un acronimo?” domanda Clive.
“Dimmi per cosa sta, mentre io vado.”
Lei muove il primo passo nella griglia. E subito un raggio di luce rossa la sfiora.
“Luce…” sussurra lui, mentre la osserva rapito.
Il problema non è non farsi sfiorare.
“…Amplificata…” continua Clive.
Anzi, più i raggi laser ti sfiorano, meno ti prendono.
“…Stimolata…”
Bisogna diventare personalmente un raggio di luce danzante.
“…da Emissioni…”
Una luce umana che, però, può piegarsi, fermarsi, e danzare veramente.
“…Radioattive.” conclude lui, trattenendo il respiro.
Fino a che non arrivi alla fine, ancora una volta soltanto sfiorata.
Karen raggiunge l’opera. Un quadro molto piccolo di valore molto grande, per quanto singolarmente brutto, agli occhi della donna. Ma lei non ne capisce granché. Sa solo quello che Clive le ha spiegato di fare.
Lui, comunque, sente il bisogno di ribadirglielo ad alta voce, per andare sul sicuro: “Metti le gomme in corrispondenza dei visori e sfilalo dalla cornice mettendo il sacchetto di sabbia, così che il rilevatore di peso non si accorga della differenza.”
“E tu che dicevi che non dobbiamo flirtare!” lo provoca lei, mentre esegue le istruzioni alla perfezione. Sfilato il quadro, se lo lega in vita e, al contrario, ripete la danza per tornare da Clive.
Lui non ha più acronimi da rivelare, così si limita a: “Ma come fa? È una cosa incredibile!”
Usciti dalla stanza, i due si dirigono all’uscita. Alla loro uscita, ovvero la finestra.
“Posso dire che siamo una squadra perfetta, Clive? Nella vita e nei furti.”
“Certo che puoi. Dammi il quadro, lo infilo nello zaino.” risponde lui, e quando lei lo guarda male, aggiunge: “Tranquilla, ho la custodia, non si rovina mica!”
“No, vero? Non come l’altra volta?”
“E infatti abbiamo smesso di usare la schiuma anti-sensore! Oh, a proposito, ci riserve l’impulso elettrostatico per uscire-”
Una grande luce bianca illumina la finestra bucata, dall’esterno. Un megafono fa le bizze, mentre viene acceso. È la Polizia.
Karen e Clive si nascondono dietro alle mura interne.
“Come diavolo ci hanno beccati?!” fa lei, urlando sottovoce.
Dal megafono arriva la voce del poliziotto: “Esci con le mani in alto! Abbiamo circondato l’edificio! L’allarme audio del Museo ci ha allertati dieci minuti fa!”
Karen guarda Clive, con fare inquisitorio. “Avevi detto che non c’erano-!”
“Ops!” si discolpa lui. “La buona notizia è che non erano microfoni, ma solo rilevatori, perché non sanno quanti siamo. Hai sentito che ha detto ‘Esci’?”
“E questa sarebbe la buona notizia?!”
“Karen, tranquilla. Non hai mai sopportato la Polizia, lo capisco, ma è parte del nostro lavoro! Possiamo cavarcela comunque. Ricordi la nostra Ultima Regola?”
“O nessuno finisce in prigione, o ci finiamo entrambi…” recita lei.
“…E ne scappiamo insieme.” conclude lui. “Senti, esci tu, con lo zaino e il quadro, io mi invento qualcosa e li prendo di sorpresa!”
“Perché devo fare io l’esca?!”
“E dai… Sei una ladra, sei sexy, ti tratteranno con i guanti! Se esco io mi sparano addosso!”
“In effetti, brutto sei brutto…”
“Ehi!”
“Va bene, va bene.” acconsente Karen, “Dammi lo zaino, esco prima io. Ma la prossima volta il bersaglio lo fai tu!”
“Se ci capitano poliziotte sexy…”
“Spero che ti sparino addosso davvero.”
Clive traccheggia con lo zaino, tira fuori due o tre cose che possono essergli utili, poi lo passa alla compagna. “Tranquilla.” le ripete.
Lei fa come richiesto: esce, le mani in alto, con lo zaino in una, e si consegna alla Polizia. Attende l’intervento di Clive, freme, in attesa dell’attimo giusto per fuggire.
Ma quell’attimo non arriva. Lui non si fa vedere.
Per la prima volta, Karen dubita di tutto. Di Clive, della sua relazione, di se stessa. Per calmarsi, ripete a mente, come un mantra, la loro Ultima Regola: “O nessuno finisce in prigione, o ci finiamo entrambi e ne scappiamo insieme.” Ma un altro pensiero la soppianta, agitandosi nella sua mente nutrito da un’ansia crescente: “Dove sei, Clive?!”
DOMENICA, ORE 16:17, COMMISSARIATO DI POLIZIA, CELLA PROVVISORIA 2B
Giorni dopo, da sola dietro le sbarre, Karen non ha ancora trovato una risposta.
Una poliziotta visita la sua stanza. “Senti, Ladra d’Arte…” questo è il suo nomignolo, ora. “…La tua situazione non è delle più favorevoli. Ti hanno beccato a rubare un quadro che vale milioni. Ti farai parecchio tempo, dentro. Lasciatelo dire, parecchio. Da donna a donna, immagino quanto sia frustrante restare in galera e uscirne solo… da vecchia. Sì, insomma, la prossima volta che ti guarderai in uno specchio sarai piena di rughe e pelle cadente e-”
“Sarebbe questo il vostro modo di farmi parlare? Una poliziotta sessista armata dei valori più superficiali dell’estetica?”
“Come vuoi tu, Ladra d’Arte. Non ho tempo da perdere con te! Ho un marito, a pochi metri da qui, che probabilmente oggi mi chiederà di sposarlo. Ma se non vuoi vivere niente di tutto questo, va bene, comandi tu. Lungi da me cercare di aiutarti!”
“Il suo partner fa il suo stesso lavoro?” chiede Karen, per un attimo davvero incuriosita.
“Sì.” risponde la Poliziotta.
“Buona fortuna.” fa lei, spegnendosi di nuovo.
“Beh, Ladra d’Arte, io quel che dovevo dirti te l’ho detto. Più volte. Dato che non penso fossi da sola, quella notte al Museo, se vuoi rivelarci qualcosa su eventuali complici, magari le persone che hanno organizzato il colpo per poi abbandonarti sul luogo del crimine… Potremmo accordarci e ridurti la condanna. Ricordatelo.”
La Poliziotta lascia la cella. Non è stata più convincente di altri giorni, ma il tempo passa e la tentazione di vendere Clive si fa ogni minuto più forte. Lui l’ha tradita, dopo tutto quello che hanno passato, dopo tutto ciò che si sono detti…
Se Karen lo vendesse alla Polizia, sarebbe davvero immeritato?
La loro Ultima Regola, in fondo, potrebbe ancora essere rispettata.
“O nessuno finisce in prigione… O ci finiamo entrambi.”
FINE DELLA PRIMA PARTE
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