Eletto. Nel linguaggio religioso, prediletto da Dio in quanto da Dio chiamato o destinato ad una grande missione. Questo aggettivo è sinonimo di un ragazzo che gioca all’ombra della Mole di Torino, indossa una maglia bianconera e porta un numero, il 21, che fu di Zinedine Zidane e Andrea Pirlo. Questo ragazzo di nome fa Paulo Bruno Exequiel, di cognome Dybala e di soprannome Joya. L’eletto viene alla luce il 15 novembre 1993 a Laguna Larga, Argentina.
Nel nome del padre. La storia di Paulo, però, non parte dall’Argentina, ma, seppur indirettamente, dalla Seconda Guerra Mondiale: il nonno Boleslaw, polacco, fece i bagagli e portò la famiglia in Sudamerica, lontano dalla guerra, lontano dalla morte. “Il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti” diceva Arrigo Sacchi. A casa Dybala però il calcio viene prima di tutto. Suo padre, Adolfo, ha giocato a buoni livelli in Argentina ma non ha mai sfondato, vuole così trasmettere la sua passione ai figli e spera che almeno uno dei tre diventi un giocatore professionista di alto livello. Con il primo figlio va male, con il secondo anche, ma con Paulo il padre capisce che è quello giusto. La Joya inizia a diffondere il suo verbo nell’Instituto de Cordoba. Il padre è una presenza costante nella sua vita, lo accompagna ad ogni allenamento della squadra, ad un’ora di macchina da casa. Questa presenza, fonte di guida per Paulo, svanisce all’improvviso quando lui aveva 15 anni, a causa di un tumore al pancreas: “Non c’è una data esatta perché succede spesso e sempre per lo stesso motivo: piango per mio padre, morto quando avevo 15 anni. Ha lottato per tanto tempo contro un tumore al pancreas, ma è stato inutile. A me, per proteggermi, non dicevano tutto, così io mi illudevo, speravo che guarisse. Oggi parlo spesso di lui con mamma, mi succede di sognarlo e ogni volta mi sveglio tra le lacrime. Mio padre aveva un sogno: che uno almeno dei suoi tre figli diventasse calciatore. Non c’è riuscito Gustavo, il maggiore, e neanche Mariano, che tutti dicono fosse più forte di me, ma che è stato vinto dalla nostalgia di casa. Perciò io dovevo farcela: per onorare la memoria di papà ed esaudire il suo desiderio. Lui mi aveva accompagnato ad ogni allenamento,un’ora di macchina da Laguna Larga, dove vivevamo, a Cordoba. Quando papà morì, chiesi alla società di farmi tornare a casa. Per 6 mesi giocai nella squadra del mio paesino, poi rientrai nell’Instituto. E dato che non c’era più nessuno che poteva portarmi avanti e indietro dall’allenamento, mi trasferii nella pensione della squadra. Non fu facile: ero rimasto orfano da poco e avevo la famiglia lontano. Mi chiudevo in bagno a piangere, ma non ho mollato. E oggi so che papà è orgoglioso di me“. Torna a giocare più forte di prima. A soli 17 anni prende per mano la squadra e realizza 17 reti, diventando la rivelazione del campionato di Seconda divisione argentina : è stato il più giovane giocatore ad aver segnato un goal tra i professionisti battendo il record detenuto da Mario Kempes, il primo a giocare consecutivamente 38 partite in un campionato professionistico del paese, il primo a segnare due triplette ed andare in rete per sei giornate consecutive. Da quel momento sarà per sempre La Joya (Il gioiello).
Gustavo Mascardi, un imprenditore sudamericano, lo nota e lo segnala all’allora DS del Palermo Sean Sogliano. La società siciliana, maestra nello scoprire talenti stranieri e rivenderli a peso d’oro (su tutti, Javier Pastore e Edinson Cavani) non se lo fa sfuggire: il 28 Aprile 2012, a fronte di un esborso di 12 milioni di euro, Paulo Dybala diventa un giocatore del Palermo, diventando anche l’acquisto più costoso nella storia del club rosanero. “Troppi per uno che arriva dalla Serie B argentina” dicono. Per uno come lui, forse, sono anche troppo pochi. La prima stagione in Italia per Paulo è un anno di transizione: nuovo paese, nuova lingua, nuove persone. Segna solo tre goal ma gioca poco, più delle volte da subentrato. La stagione si conclude clamorosamente con una retrocessione in Serie B per il Palermo. Il presidente Zamparini affida la panchina all’ex campione rossonero Rino Gattuso, che in ritiro pre-campionato dirà di lui:“È un giocatore che è due pagine avanti nel manuale del calcio, lui è classe pura, non può non fare bene per i colpi che ha e per il calcio che può giocare. Paulo è un giocatore vero, uno coi colpi”. Se queste parole sono pronunciate da uno che ha vinto tutto con Milan e Nazionale e ha giocato con gente del calibro di Shevchenko, Pirlo, Kakà, Seedorf, Del Piero e Totti, solo per dirne alcuni, qualcosa vorrà pur dire. E infatti i rosanero tornano subito in Serie A ( nel frattempo Gattuso è stato esonerato e sulla panchina palermitana è arrivato Beppe Iachini). La consacrazione dell’ eletto arriva nella stagione 2013-2014: trascina il Palermo ad una salvezza tranquilla con 13 goal e diversi assist. Ma quello che stupisce di Dybala è la qualità delle giocate, semplicemente lui vede prima rispetto a gli altri 21 in campo. Le tre squadre più importanti dello Stivale lo mettono in cima alla lista dei desideri. Juventus, Milan e Inter lo vogliono, e alla fine è la società bianconera a portarselo a casa: 32 milioni più 8 di bonus legati ai risultati. Anche qui ci sono i soliti dubbi legati all’eccessivo costo del cartellino, e anche qui, probabilmente, i soldi spesi dalla Juve sono troppo pochi per uno del suo livello. A Torino migliora ulteriormente, non gioca più da prima punta come nel Palermo ma svaria con più continuità su tutto il fronte d’attacco, posizionandosi nello spazio tra centrocampo e difesa dell’avversario. Proprio quello che faceva Carlos Tevez, ma lo spirito dell’Apache che aleggiava sullo Juventus Stadium è andato via, scacciato da quel ragazzo che segna nel nome del padre.