Vivo a Roma da quando ero bambina ma non mi ero mai recata al Mausoleo delle Fosse Ardeatine. Amo immensamente la mia città di adozione e sono sempre alla ricerca dei luoghi più significativi ed interessanti della città eterna. Non avevo però mai trovato il coraggio prima d’ora di avvicinarmi al Sacrario ubicato sulla via Ardeatina. Luogo della memoria, toccante ed emozionante. Forse è per tutte queste ragioni che non avevo mai individuato il momento giusto per visitarlo. Perché bisogna avvicinarsi a queste testimonianze della storia con la predisposizione e l’empatia adeguate per potersi addentrare nei meandri della sofferenza fisica e psicologica.

Così, qualche giorno fa, in una splendida mattina di sole primaverile e all’avvicinarsi del giorno della ricorrenza storica del terribile eccidio perpetrato il 24 marzo 1944, mi sono recata in via Ardeatina 174. Davanti a me la cancellata in ferro, reticolata e spettrale dell’artista Mirko Basaldella che ci introduce al Mausoleo delle Fosse Ardeatine.

23 Marzo 1944
Roma è occupata dalle truppe tedesche. Le milizie e i gruppi di resistenza della capitale organizzano azioni contro la campagna di terrore avviata dall’ufficiale delle SS Herbert Kappler, capo della Gestapo di Roma, controllore dell’ordine pubblico in città e già protagonista della razzia nel ghetto ebraico e successiva deportazione il 16 ottobre 1943.

Sempre lui era stato il responsabile di rastrellamenti, arresti di italiani antifascisti e della distruzione di gruppi appartenenti alla Resistenza. Fu quindi in questa situazione che alcune milizie comuniste della Resistenza romana decisero di compiere un’azione simbolica contro l’occupante tedesco il 23 marzo 1944. Il luogo scelto fu la sede del battaglione Polizeiregiment “Bozen” di Via Rasella a Roma.
L’attentato
12 partigiani portarono a compimento l’attentato. Collocarono una bomba di 18 kg di esplosivo misto a spezzoni di ferro in un carrettino della spazzatura davanti al palazzo sede del battaglione tedesco.

Perirono 32 militari tedeschi, uno il giorno successivo, (altri nove morirono in seguito). L’esplosione uccise anche due civili italiani.
La reazione
La reazione del comando tedesco a Roma fu molto violenta. Il generale Kurt Mälzer, comandante della piazza di Roma, aveva deciso di distruggere il quartiere dell’attentato e uccidere tutti i suoi abitanti.

Hitler, informato dei fatti voleva trucidare dai trenta ai cinquanta italiani per ogni soldato tedesco ucciso nell’attentato di via Rasella. In realtà non esistono documenti comprovanti l’esistenza di un ordine proveniente da Hitler stesso. Durante una conversazione telefonica, il generale Mälzer, il colonnello Kappler e il generale Eberhard von Mackensen, comandante militare dell’area di Roma, presero la decione finale. L’ultimo, in particolare, pensò che sarebbe stato sufficiente uccidere 10 italiani per ogni tedesco caduto nell’attentato. Le vittime furono scelte tra i condannati a morte nelle carceri, membri della Resistenza comunista e azionista, antifascisti e 75 ebrei imprigionati in attesa di essere condotti nei campi di sterminio. La selezione durò tutta la notte.
L’esecuzione
Il luogo prescelto fu la serie di gallerie delle cave di pozzolana abbandonate sulla via Ardeatina.

Non troppo lontano dal centro città ma abbastanza isolato e facile da occultare a sguardi indiscreti facendo esplodere l’entrata delle gallerie subito dopo il massacro. Poco prima delle ore 14.00 del 24 marzo i convogli con i condannati a morte si dirissero verso il luogo deputato. Il collonello Kappler e il capitano Priebke parteciparono attivamente alle esecuzioni. I prigionieri, ignari del loro destino entravano a gruppi di cinque e venivano fucilati barbaramente.

Il numero dei condannati raggiunse le 335 unità (per un errore furono assassinati 5 uomini in più). Alle ore 20.00 la strage era compiuta. Il colonnello Kappler, al termine dell’eccidio dichiarò che “la rappresaglia era stata eseguita in applicazione delle leggi di guerra”.
Lo storico Gerhard Schreiber, commentando la furia vendicativa del massacro delle Fosse Ardeatine ha scritto che “la messa in pratica dell’esecuzione può soltanto essere definita bestiale”.
Il tentativo di occultamento della strage
Al termine della strage, i soldati tedeschi fecero esplodere gli esplosivi all’interno delle gallerie per distruggere le prove della carneficina. Le esplosioni furono però udite da alcuni religiosi che vivevano nei pressi della via Ardeatina e che guidavano i pellegrini tra le Catacombe di San Callisto e Santa Domitilla nelle vicinanze.

Nella notte i religiosi entrarono nelle cave e lo spettacolo che si palesò ai loro occhi era orrendo e cruento: cadaveri mutilati ammassati in gruppi alti anche un metro e mezzo.
Qui cala il sipario sui particolari violenti del massacro e su tutte le regole violate dal comando tedesco. Eccidio bestiale e vile poiché nessuno degli uccisi poteva essere messo in relazione con l’attentato.
La costruzione del mausoleo
Dopo la Liberazione, il governo italiano decise di far erigere un monumento commemorativo sul luogo della strage. Fu bandito un concorso nel settembre del 1944 e risultarono vincitori ex-aequo due dei dodici progetti presentati.

Quello del motto RISORGERE (Nello Aprile, Cino Calcaprina, Aldo Cardelli, Mario Fiorentino e lo scultore Francesco Coccia) e quello del motto UGA (Giuseppe Perugini) a cui si aggiunse nel frattempo lo scultore Mirko Basaldella.
Il progetto
Il Mausoleo delle Fosse Ardeatine è il primo monumento moderno italiano che comprende il piazzale, le grotte dell’eccidio e la tumulazione fuori terra in un ambiente esterno collegato al luogo della strage.

Nel 1947 cominciò la costruzione del complesso che venne inaugurato due anni dopo.
Il Mausoleo ci accoglie dopo aver oltrepassato la soglia dell’imponente cancellata in ferro lunga 6 metri di Mirko Basaldella (Udine, 28 settembre 1910- Cambridge, Massachusetts, 24 novembre 1969).

Opera monumentale, un intreccio di vuoti e pieni, di contrazione ed espansione, così da evocare la violenza della scena.

Gli elementi hanno un significato simbolico: gli archi stilizzati rappresentano i corpi cadenti e le armi. I tondi evocano le teste e i volti dei condannati.

Oltrepassata la soglia, eccoci nel vasto piazzale: l’ingresso alle gallerie di fronte a noi e le sepolture alla nostra sinistra.

La statua
Il gruppo scultoreo che ci accoglie sul piazzale a sinistra è un’opera maestosa in travertino di 6 metri di altezza dello scultore Francesco Coccia (Palestrina, 1902- Crans-Montana, 1981).

La statua è intitolata “Le tre età” e rappresenta un ragazzo, un adulto e un vecchio con le mani legate dietro la schiena.

Il riferimento è alle età dell’uomo e al fatto che le vittime delle Fosse Ardeatine fossero tutti uomini di età compresa tra i 15 e i 74 anni.
L’entrata alle gallerie
Addentrandoci nelle gallerie, possiamo solo pensare alla fatica, al dolore, alla sofferenza che devono aver provato i condannati a morte ignari del loro destino.

Dobbiamo immaginare pochissima luce, l’oscurità dell’incognito, forse l’intuizione del pericolo. Il nostro incedere rallenta, timoroso, fino a raggiungere le altre due cancellate di Mirko Basaldella che ci separano dai luoghi della brutale carneficina.

È in questo momento che ci sembra di udire i primi spari, le prime grida. Lo sgomento ci rende immobili, come pietrificati, incapaci di dare una spiegazione alla crudeltà inaudita perpetrata ai danni di vittime innocenti.

Rimaniamo in silenzio, consapevoli che la storia dovrebbe insegnarci ad evitare ulteriori errori. In questi giorni in cui si combatte una guerra cruenta non lontano da noi, ci rendiamo conto che l’uomo sembra non aver imparato nulla dal passato e dall’esperienza.
Verso il Sacrario
Uscendo dalle gallerie, un sentiero ci guida in salita verso un piccolo museo che ricostruisce il contesto in cui collocare i fatti avvenuti tra il 23 e il 24 marzo 1944 a Roma.

Percorrendo il sentiero in discesa, quasi invisibile dall’entrata principale, ecco il Sacrario che contiene le tombe in granito delle 335 vittime delle Fosse Ardeatine.

È protetto da una mastodontica lastra sollevata: un monolite in cemento armato di quasi 50 metri di lunghezza che lascia filtrare la luce. Le tombe sono allineate in 14 file, in una sequenza perfetta, quasi ossessiva.

Alcune persone arrivano a deporre i fiori, a sistemare le tombe dei loro cari che non hanno mai conosciuto ma che sono ancora vivi nelle storie raccontate dai loro nonni, zii, genitori. Nei loro gesti calmi, controllati, nella cura con cui sistemano gli oggetti e depongono gli omaggi floreali possiamo intravedere il dolore, il rispetto e l’incredulità per una morte assurda ed incomprensibile. È un momento di silenzio, di raccoglimento, di vuoto interiore.
Per non dimenticare
A piccoli passi mi dirigo verso l’uscita, incerta, scossa da tante emozioni. La luce del sole sul piazzale è forte e calda, ma neanche questo calore riesce ad attenuare il freddo e il gelo che queste sensazioni hanno veicolato.

Un luogo della memoria e del sacrificio. Mai come in questo periodo storico un luogo che varrebbe la pena visitare per non dimenticare il passato, vivere il presente ed essere consapevoli che la storia dovrebbe guidarci come un faro verso un futuro di luce e di saggezza.
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