Chiuse gli occhi, tirò indietro il capo. I capelli che le volano al vento inesistente le facevano credere che c’era speranza per un’esistenza diversa.
“Chissà che sapore ha la vita vera” pensò mentre portava lo sguardo verso una finestra che non c’era, immaginando un sole di primavera che ora non la poteva riscaldare.
Il mondo ci sopprime, il mondo ci vuole veloci, flessibili…il mondo non ci vuole, il mondo ci governa.
Siamo yes men senza sapere a chi diciamo “sì”.
Quel giorno lei lo sapeva bene, quando dietro uno schermo del computer sognava una vita che non aveva. Sognava la musica nelle orecchie mentre correva verso la felicità. Sognava un tramonto e un’alba con cui perdersi tra i pensieri.
Gli obblighi non la facevano respirare, la vita che non viveva la faceva piangere.
Dietro quegli occhi lucidi c’era un cuore che gridava, che voleva battere di vita autentica, voleva un suo senso da raggiungere.
Non voleva essere Icaro; non chiedeva di superare limiti, le bastava solo un po’ di aria. Non voleva raggiungere il sole, avrebbe dato retta a Dedalo lei.
Si sarebbe accontentata perché quando hai assaggiato il pane e poi non lo hai più per molto tempo, anche le briciole sono buone.
Quel giorno pianse mentre nessuno la vedeva, mentre nessuno voleva vederla, perché mica si nascose lei. Quel giorno a lei non interessava se ci fossero state domande a chiederle cosa c’è che non andava, anzi, avrebbe colto l’occasione per sentirsi meno sola.
Il paradosso dell’umanità però è abbandonare rimanendo accanto.
Nessuno in quel momento si accorse di lei, non lasciamo spazio ai sentimentalismi.
“Che razza di umanità” pensò mentre il suo cuore la consolava e il cervello la portò di nuovo ai suoi compiti da fare.
Piano piano sentì una forza sconosciuta impossessarsi delle sue ossa.
I muscoli le iniziarono a tremare.
Il cuore che batteva forte, gli occhi che si asciugavano e guardavano vertiginosamente intorno a lei.
Non capiva cosa aveva…l’abitudine le stava stretta. Quei vestiti non le appartenevano, quell’aria seria stava abbandonando il campo e d’improvviso un sorriso.
Non stava succedendo apparentemente nulla, ma nella sua anima c’era una tempesta, un attacco di vita che improvvisamente le fece capire che poteva prendere almeno uno spicchio di vita vera con cui affrontare tutte le giornate in modo diverso, almeno per un po’.
Spense il pc, guardò tutti con aria felice. Gli sguardi degli altri erano tutti uguali, omologati a essere nulla. Lei li guardò, sapendo che non avrebbero mai capito, erano adulti cresciuti male, cresciuti con l’idea che conservare la gioia di un bambino nel cuore sia un peccato mortale che non fa produrre bene.
Lei quel giorno fuggì.
Lasciò il tutto che tanto domani l’avrebbe accolta di nuovo lì, con la solita freddezza.
Scese le scale tenendo per mano quell’attacco di vita, prese la macchina, mise la melodia che le faceva rincorrere la felicità e se ne andò al mare. Quel giorno accarezzò la libertà, fece una passeggiata con lei sulla riva bagnata.
Scrisse su un foglio “sono felice” lo mise nel portafoglio, insieme a un po’ di sabbia e di vita vera.
Il giorno dopo la monotonia bussò di nuovo alla sua porta, lei aprì truccata di leggerezza e mise di nuovo la sua faccia dietro uno schermo senza vita, ma era diversa.
Il giorno prima aveva spruzzato su di sé l’odore della vita vera.
Rilesse quel biglietto ricordandosi che “ieri” era vero, era esistito e sedeva accanto a lei, e questo le bastò per stare bene.
Il mondo ci vuole monotoni, schiavi di un sistema che ci fa dimenticare la dimensione tipicamente umana, la nostra libertà, il nostro pensiero, il nostro bisogno di sognare.
C’è bisogno, anche solo un giorno l’anno, in cui chiudere il mondo fuori e aprire a noi stessi, per essere il “sì” alla vita, e non ad altro.
C’è bisogno di far sorridere prima il cuore, per far sorridere noi, e lei da quel giorno lo capì bene.
Vanessa Romani