Roberto Vecchioni è un poeta prestato alla musica. Per la precisione è uno dei padri della canzone d’autore. Riesce a far coesistere nelle sue canzoni espressionismo lombardo, pathos greco, la passione tipica della musica napoletana e talvolta anche il jazz. Nei suoi testi troviamo non solo amore ma problematiche sociali, esistenziali, metafisiche. Ha sempre saputo conciliare contenuto e qualità. È un autore completo, versatile, che ha sempre saputo rinnovarsi nel tempo, pur preservando la sua autenticità e non snaturandosi mai. Ha pubblicato una ventina di album e ha avuto un ottimo riscontro di pubblico, dato che ha venduto circa otto milioni di copie. È un artista per così dire “arrivato”, ma che non è mai sceso a banalizzazioni e semplificazioni. La sua coerenza è stata premiata a lungo termine. Non a caso può vantarsi di aver vinto Sanremo, il Festivalbar, il premio Tenco, il premio Lunezia, il premio della critica Mia Martini. Eppure per understatement, fino quasi a giungere all’autodenigrazione e all’autogogna, si è sempre definito un poetastro (e da questo punto di vista è in buona compagnia, perché un altro grande come Jannacci si definiva un poetastro). Vecchioni ha raggiunto ormai una certa notorietà. Tutti sanno chi è: è diventato nazionalpopolare con la vittoria di Sanremo, è stato addirittura candidato al Nobel per la letteratura. Vecchioni ha sempre fatto parte del cantautorato intelligente, quello politicamente e socialmente impegnato. Iniziò scrivendo canzoni per Gigliola Cinquetti, che ha sempre dimostrato riconoscenza cantando nei suoi concerti, anni dopo, anche le canzoni meno celebri del repertorio di Vecchioni. Una piccola curiosità: per anni Vecchioni scriveva canzoni insieme a Lo Vecchio e c’era chi faceva della facile ironia su questo. Negli anni Settanta il nostro era un punto di riferimento per i giovani di sinistra; faceva ogni anno concerti per la Festa dell’Unità. Era così aperto e socializzava con tutti, che fu vittima anche d’un ragazzo mitomane, che dichiarò alle forze dell’ordine di aver fumato uno spinello con lui. Poi costui ritrattò tutto e venne assodata l’estraneità del cantautore, ma, ciò nonostante, si fece alcuni giorni di carcere (da cui nacquero le canzoni “Montecristo” e “Signor giudice”). Nella canzone “Fratelli?” c’è tutto ciò, ovvero l’entusiasmo idealistico, la partecipazione umana, l’aspirazione all’uguaglianza, il collettivismo, il fallimento, la disillusione e la rassegnazione. Gli anni Settanta non erano certo facili. Da un lato c’erano gli amanti delle canzoni amore e cuore, che vedevano in Vecchioni uno troppo intellettuale e troppo di nicchia; dall’altro c’erano contestatori come ad esempio gli autoriduttori, per cui se eri un compagno dovevi fare concerti gratis (ne ha parlato in un video su youtube il celebre giornalista Andrea Scanzi pochi giorni fa). Il cantautore milanese è riuscito a passare indenne da queste forche caudine, dalle polemiche degli anni Settanta e dal disimpegno degli anni Ottanta e Novanta, riuscendo sempre a essere fedele a sé stesso, senza compromessi, né senza diventare commerciale. A riguardo del suo non voler essere commerciale si ricordi il fatto che ha imparato a infischiarsene dei ritornelli da Guccini e Claudio Lolli, suoi amici di vecchia data. In una sola occasione Vecchioni ha scritto una canzone leggera e divertente, interpretata con successo da I nuovi angeli, ovvero “Donna felicità”, che nessuno seppe spiegare come mai non subì la censura, visti e considerati i ripetuti doppi sensi. In definitiva Vecchioni è ormai conosciuto e popolare, dopo tanti anni di onorata carriera. Ma quanti conoscono davvero le canzoni di Vecchioni, i cui testi hanno tutti grande dignità letteraria?
Mi ricordo qualche anno fa in una puntata di Otto e mezzo, condotto dalla Gruber, che il nostro discuteva con il grande poeta Valerio Magrelli se la canzone fosse poesia o meno. Vecchioni ricordava che anticamente le poesie venissero accompagnate con la musica e citava gli aedi. È bene sgombrare il campo dagli equivoci: le canzoni di Vecchioni sono segno inequivocabile di espressione poetica. Ormai anche i puristi più selettivi hanno riconosciuto che la migliore canzone d’autore può essere quantomeno considerata poesia popolare. Ai letterati snob con la puzza sotto il naso ricordo comunque che il cantautore milanese ha dimostrato le sue doti di scrittore con alcune pubblicazioni con l’Einaudi, che, tanto per intenderci, è una grande casa editrice, che punta tutto sulla qualità e a cui dirigenti non importa assolutamente il fatto che uno sia un vip o meno. A questo proposito consiglio a tutti di leggere la sua favola moderna, intitolata “Il libraio di Selinunte”. L’intelligenza acuta e la vasta cultura del cantautore si sono potute vedere anche dalla sua partecipazione al programma di Massimo Gramellini. Vecchioni è un uomo di cultura, è stato un docente (sia del liceo classico che all’università) per tutta la vita. Ha sempre amato la professione di insegnante, non l’ha mai considerata un ripiego: tant’è vero che spesso rifiutava di andare come ospite al Maurizio Costanzo Show, perché non voleva che i suoi allievi rimanessero indietro con il programma ministeriale; è lettore così onnivoro da mischiare Moravia, i lirici greci e Topolino. Le sue canzoni sono intrise di letteratura. Ad esempio troviamo il topos letterario del doppio: in “Ragazzo che parti, ragazzo che vai” si immagina di incontrare sé stesso ragazzo, in “Dentro gli occhi” si immagina di incontrare sé stesso da anziano. I suoi testi sono ricchi di citazioni colte, di archetipi letterari e artistici. Ricordiamo “Szymborska” (la grande poetessa), “Velasquez”, “Lettere d’amore” (riferimento alla poesia “La tabaccheria” di Pessoa e quindi all’Esteves senza metafisica), “La stazione di Zima” (ricordando il poema di Evtušenko), “Sogna, ragazzo sogna” (riferimento a Hikmet), “Comici spaventati guerrieri” (riferimento a Stefano Benni), Vincent (riferimento a Van Gogh), “Canto notturno d’un pastore errante” (ricordando Leopardi), “Alighieri” (Dante), “Canzone per Alda Merini”, “Verrà la notte e avrà i tuoi occhi” (Pavese), “Dove?” (vengono citati dei versi di Emilio Praga), “Piccole donne” (come il celebre romanzo), “Arthur Rimbaud”, “Rossana, Rossana” (riferimento a Cyrano), “Per amore mio” (in cui Sancho Panza si immedesima in Don Chisciotte e racconta le sue mirabolanti imprese) e infine i miti Aiace, Euridice, etc etc. Inoltre Vecchioni sa parlare d’amore. Ha scritto tante belle canzoni d’amore, in cui molti giovani e non si ritrovano. Sono canzoni scritte con sentimento, ma mai troppo sentimentali: non c’è traccia di sdolcinatezza e sdilinquimento, non c’è la rima troppo abusata amore e cuore; piuttosto ci sono tutte le contraddizioni e la conflittualità dell’amore. L’amore viene insomma cantato in tutte le sfaccettature, viene declinato in ogni modo. Da ragazzo mi colpirono molto “Ultimo spettacolo”, “Vorrei”, “Mi manchi” ma anche “La mia ragazza”, in cui scrive “la mia ragazza è il mio mestiere”. Personalmente ho sempre apprezzato molto che il cantautore trasformasse complessi interiori e delusioni sentimentali in autentica poesia. I testi di “A te” e “Giugno” li trovo ad esempio molto ispirati; insomma a mio avviso molti testi raggiungono il non plus ultra del lirismo nella canzone. Un testo autoironico e magistrale è quello di “Canzone per Laura”. Altre belle canzoni sono “Per un vecchio bambino”, “L’uomo che si gioca il cielo a dadi” (dedicate entrambe al padre), “Canzone per Sergio” (dedicata al fratello), “Figlia” (dedicata a Francesca Vecchioni). Mi piacciono molto anche “Gli anni” e “Carnival”, canzoni che trattano della maturità, degli anni che passano, del tempo che scorre inesorabile. Ma le canzoni di sicuro più conosciute di Vecchioni sono “Luci a San Siro” e “Samarcanda” (che si riferisce ad “Appuntamento a Samarra”, ma questa leggenda era antichissima, già presente nella Bibbia). Le sue canzoni quindi fanno riflettere e allo stesso tempo emozionano; in esse ci si può anche identificare e infatti c’è chi ha visto in Vecchioni di volta in volta un padre putativo, un fratello maggiore, un compagno di strada, un amico o un maestro di vita.