Palazzo Barberini a Roma ospita fino al 27 marzo 2022 la mostra Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta. Violenza e seduzione nella pittura tra Cinquecento e Seicento.
Giuditta decapita Oloferne (1599) di Caravaggio e Giuditta che decapita Oloferne (1612-1613) di Artemisia Gentileschi sono le due opere intorno alle quali ruota la mostra in questione.
La Giuditta di Caravaggio
Il famoso restauratore Pico Cellini, nel 1951 riscoprì la nota tela dell’artista lombardo commissionata dal banchiere Ottavio Costa. Dopo aver visitato la grande mostra organizzata da Roberto Longhi dedicata a Caravaggio al Palazzo Reale di Milano nel 1951, ricordò di aver visto anni prima in un palazzo di Via Giulia a Roma, un grande quadro scuro e polveroso. Era stato attribuito ad Orazio Gentileschi.
Dopo aver mostrato la fotografia del quadro a Roberto Longhi, il critico decise di inserirlo nella mostra e confermò la sua idea dell’attribuzione a Caravaggio. Venti anni dopo lo Stato italiano comprò la tela che entrò a far parte delle collezioni statali.
Lo stile
Opera dirompente per la forza, l’innovazione, la prepotente interpretazione dell’eroina femminile. Giuditta è una donna giovane e bella, abbigliata con uno sgargiante abito giallo, che sfida il male rappresentato dal generale Oloferne. Assistita dall’ anziana ancella decide di uccidere il nemico per salvare il suo popolo. Caravaggio, a differenza dei suoi predecessori sceglie di rappresentare l’attimo in cui tutto accade, il momento cruento dell’assassinio in cui Giuditta affonda la spada nel collo di Oloferne per reciderne la testa. L’espressione della giovane è accigliata, si allontana da lui, con un sentimento di repulsione e distacco, non di pentimento. Non possiamo che schierarci dalla parte di Giuditta per la sua forza e il suo coraggio!
La Giuditta di Artemisia Gentileschi
Artemisia Gentileschi, la famosa pittrice del Seicento era la figlia del noto pittore Orazio Gentileschi e fu protagonista delle cronache del tempo per essere stata la giovanissima vittima di uno stupro perpetrato dal pittore Agostino Tassi. Artemisia dipinge la sua Giuditta dopo aver assorbito la lezione di Caravaggio
trasformandola ed interpretandola con il suo particolare stile. Probabilmente identificandosi con l’eroina, forte della vendetta che covava nel suo animo dopo lo stupro. Ciò che colpisce maggiormente nel quadro è la violenza di Giuditta che aiutata dall’ancella si accanisce con una forza inaudita sul corpo di Oloferne. La scena è avvolta nell’oscurità, senza riferimenti al luogo, il volto di Giuditta è forse l’autoritratto di Artemisia stessa. L’atto è compiuto, il popolo è salvo. La vendetta è servita, la stessa che desiderava Artemisia nei confronti dell’uomo che l’aveva violata.
Giuditta
Giuditta, l’eroina di un libro biblico. Giovane vedova della città di Betulia assediata dai nemici capitanati da Oloferne, generale del re assiro Nabucodonosor. Quando ormai la città sta per arrendersi, Giuditta, accompagnata dalla sua ancella e splendidamente vestita entra nell’accampamento nemico. Oloferne è rapito dall’avvenenza della giovane e dopo essersi ubriacato la invita nella sua tenda pregustando una piacevole notte. Non farà in tempo ad accorgersi che quella giovane donna si trasformerà nel suo carnefice. Con la testa di Oloferne in una cesta, Giuditta corre ad incoraggiare il suo popolo mostrando il trofeo del nemico. Gli Assiri saranno battuti e la città di Betulia liberata. Giovane, bella e coraggiosa, questa è l’eroina che ha ispirato tanti artisti, antesignana di un femminismo nemmeno immaginato.
Le sezioni della mostra
Le tele di Caravaggio e Artemisia Gentileschi sono però solo i momenti più alti di una bella raccolta di 31 dipinti provenienti da istituzioni museali nazionali ed internazionali. Quattro sono le sezioni in cui si articola la mostra.
Giuditta al bivio tra natura e maniera
Nella prima sezione si possono ammirare alcune opere cinquecentesche che mostrano uno scostamento dalla rappresentazione del tema di Giuditta ed Oloferne accettato fino ad allora per veicolare l’attenzione sul momento dell’omicidio, come nella tele di Lavinia Fontana e Tintoretto.
Tintoretto mette in scena un dramma appena concluso con grande dovizia di particolari. Prevale l’atteggiamento riguardoso dell’eroina nei confronti di Oloferne la cui decapitazione viene celata al pubblico.
Caravaggio e i suoi interpreti
Il titolo della seconda sezione trae ispirazione dalla tela di Caravaggio per indagare l’influenza esercitata su altre opere contemporanee che svilupparono lo stesso soggetto dell’attimo cruento della decapitazione. Molto interessante la versione di Valentin de Boulogne realizzata tra il 1627-1629. Stessa ambientazione con toni più scuri e le figure disposte in diagonale.
Giuseppe Vermiglio tra il 1610 e il 1615 dipinge la versione più simile alla Giuditta e Oloferne di Caravaggio.
Artemisia Gentileschi e il teatro di Giuditta
La terza sezione è focalizzata sulle due opere dedicate al tema di Giuditta realizzate da Artemisia Gentileschi in cui la seconda dialoga con una tela simile dipinta dal padre Orazio.
Orazio Gentileschi rappresenta il momento successivo al delitto. Giuditta e l’ancella, entrambe giovani sono ritratte in un momento di pausa durante la fuga e Giuditta pone la mano sulla spalla della giovane quasi a rassicurarla.
La seconda tela dipinta da Artemisia guarda all’opera del padre ma con più forza e senza indulgere da parte di Giuditta nella complicità con l’ancella ma sottolineando la forza espressiva e il carattere della protagonista.
Giuditta e David, Giuditta e Salomè
Nella quarta ed ultima sezione il personaggio di Giuditta viene accostato a quello dell’eroe David che con l’astuzia, la virtù e il coraggio trionfa sul gigante Golia.
Valentin de Boulogne ritrae David come un giovane di bell’aspetto, al centro della scena, con due soldati ai lati e lo sguardo rivolto verso lo spettatore. L’ambientazione dalle tonalità scure riconduce l’opera nella cerchia di ispirazione caravaggesca.
L’accostamento Giuditta-Salomè è più ardito in quanto Giuditta è una figura positiva mentre l’ambiguità di Salomè traspare dai suoi comportamenti. Hanno in comune l’esposizione di una testa recisa che, nel caso di Salomè viene portata in trionfo su un vassoio d’argento. Esibita come sfida d’amore e morte. Il pittore Francesco Rustici, definito un “caravaggesco gentile” perché le sue tele sono caratterizzate da una certa soavità ed evanescenza, ci mostra un’interpretazione interessante del soggetto.
L’ambientazione notturna della scena con la luce che illumina le protagoniste e il vassoio con la testa esposta del Battista non lasciano dubbi sull’identificazione della protagonista ma il dipinto non è cruento, anzi le due giovani sembrano muoversi a passo di danza!
Caravaggio, Artemisia, Giuditta e Salomè, David e Golia. Questa mostra offre molti spunti di riflessione che si snodano attraverso l’arte, la religione, la storia. A noi il compito di svelare i fili sottili che legano i protagonisti al nostro immaginario, ai nostri dubbi e alle nostre certezze.
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