Chi di noi non ha mai immaginato come potesse essere una tavola imbandita di pietanze nella Roma Imperiale? Come erano composti i menù? Cosa mangiavano i Cesari, i ricchi liberti come Trimalcione, i Senatori, i Gladiatori ed il resto del popolo?
Oggi tutto questo rivive grazie alla passione dell’archeocuoca Maria Carla Palombo e di sua sorella Tiziana. Entrambe collaborano alla riproduzione fedele delle pietanze della Roma Imperiale. Oggi chiediamo a Carla di parlare della sua passione che è diventata occasione di studio e lavoro.
Carla, come nasce la passione per la cucina romana del periodo imperiale?
Mi chiamo Maria Carla Palombo e sono architetto. Circa sei anni fa ho voluto unire due temi che mi sono sempre interessati: la storia minore, quella degli usi e costumi della vita quotidiana di un popolo e la gastronomia.
Ho cominciato a studiare la gastronomia del periodo Imperiale perché trovo sia un’epoca interessantissima. La cucina romana da povera, semplice, con l’espansione dell’impero cambia completamente. Arrivano a Roma spezie pregiate, frutti sconosciuti come: pesche, datteri, susine, ciliegie.
Sono rimasta talmente coinvolta dallo studio che ho approfondito fino a provare ricette appetibili per i nostri palati.
Ho cominciato facendo delle prove invitando gli amici ad assaggiare le pietanze romane. Ho notato che piacevano, creavano curiosità soddisfatta dalle mie spiegazioni storiche e aneddotiche.
Dopo un anno con gli amici mi sono proposta sulla mia pagina Facebook “Archeocucina a domicilio” e sul mio sito “ www.Archeocucinaroma.it”, sia organizzando eventi a casa mia che facendo cucina a domicilio.
Preparare i piatti archeologici richiede impegno, studio delle fonti latine e tanta attività intellettuale. Come vivi questa esperienza?
La vivo con divertimento e amore. Tengo in modo particolare che le ricette numerose scelte, siano riprodotte il più fedelmente possibile affinché l’esperienza sia più veritiera.
Le fonti alle quali mi sono rivolta sono tante. Il cibo è arte, cultura e filosofia. Durante i banchetti si mangia, ci si diverte ma si riflette anche sul senso della vita.
La famosa cena di Trimalcione, descritta nel Satyricon di Petronio, è ricca di suggerimenti di cucina e filosofia. Il ricco liberto godeva nello stupire i suoi ospiti, non lesinava lo sfarzo ma ricordava loro che oltre il godimento ci aspetta la morte e faceva passare di mano in mano uno scheletrino snodato.
Tra le fonti più importanti Marco Gavio Apicio , vissuto sotto il regno di Tiberio, che scrisse 10 pergamene, divise per argomenti, sul metodo di cucinare pietanze a base di pesce, carne, pollame., ecc. Queste ricette furono usate fino al Rinascimento, grazie al copiato degli amanuensi e di qualche monaco goloso che a volte ci ha messo del suo.
Posso citarne alcuni a titolo di esempio come Plino il Vecchio (23-79 d.C.). Il poeta Ennio (239 a.C.-169 a.C.) che componeva strofe in rima scritte su tavolette da regalare ai commensali come modo per ringraziare i partecipanti al banchetto. Atenèo di Naucrati (II-III sec. d.C.) dotto della Biblioteca di Alessandria che ci fornisce alcune pietanze di pesce nella sua opera De Ipnosophisti.
Virgilio (70 a.C.-19 d.C.) che in un poemetto ci descrive il Moretum famoso formaggio speziato ricco di aromi e verdure prese dall’orto.
Il mio lavoro è spinto dalla curiosità e lo studio è costante.
Ci puoi descrivere le pietanze di un menù?
Premetto che la giornata dei Romani seguiva gli orari del sole, il pasto più importante era la cena. La colazione (ientaculum) era costituita dagli avanzi della sera prima: frutta, formaggi, olive, fichi, poi si andava a lavorare.
Il pranzo si consumava per la strada, nella taberne o presso le tendaria, le nostre bancarelle, all’uscita dalle Terme dove andavano tutti ricchi e poveri.
La cena in inverno era intorno alle 16.30 in estate tra le 18.30 19.00.
Il menù classico di un banchetto era costituito da sette portate.
Si cominciava con la Gustatio, un nostro aperitivo con pesce fritto, olive, formaggi il tutto bagnato dal Mulsum.
La ricetta del Mulsum l’ho recuperata dal tribuno Lucio Giunio Columella (4 a.C. -70 d.C.) che era proprietario di terreni con vigne e oliveti ad Albano. Egli aveva un diario, De Re Rustica, dove annotava: le ore dei lavoranti, il raccolto, i vini tra i quali appunto il Mulsum vino bianco aromatizzato con anice stellato, miele e pepe.
Seguiva la Prima mensa costituita da piatti forti e a seconda della ricchezza del padrone di casa potevano essere anche spettacolari sia nella presentazione che nella preparazione. Un elemento importate era sorprendere gli ospiti con una portata ad esempio, di gallina ripiena con tordi ripieni di prugne.
Tra le mie ricette è presente, come piatto di carne, il pollo numidico, la nostra faraona con datteri secchi, miele, cumino e altre erbe aromatiche. Come piatto di pesce il più interessante prevede i Totani ripieni di Ateneo di Naucrati dove il ripieno è costituito dai tentacoli, dal formaggio primo sale, sedano montano e cumino.
La Seconda mensa comprendeva frutta, dolci e bevute. Si beveva fino allo sfinimento si gustavano lupini e olive per poter continuare ad avere voglia di bere.
I ricchi mangiavano sul triclinio solo nelle cene importanti con ospiti di riguardo, mentre il popolo mangiava la sera seduto a tavola con pietanze a base di minestre di farro, orzo, ceci e verdure dell’orto. La carne era riservata ai ricchi.
Per quanto riguarda i dolci Marco Porcio Catone ( descrive la Placenta costituita da due sfoglie di pasta che raccolgono al loro interno un ripieno costituito da cinque strati di tracte ossia sfoglie sottilissime fatte con sola acqua e farina alternate da ricotta amalgamata con il miele.
Mia sorella Tiziana, che è una pasticcera molto brava, si occupa del pane e dei dolci.
Dimostra la sua perizia in particolare con la preparazione della Cassata di Oplontis, il cui inventore è sconosciuto ma fu riscritta da un monaco amanuense.
Ad Oplontis, frazione di Pompei, un affresco nella sala triclinare della villa di Poppea ce la mostra su un treppiede ed è un’immagine appartenente all’iconografia classica. Possiamo dire che è l’antesignana della cassata siciliana con albicocche secche prugne secche, datteri, uva passa, ricotta setacciata.
Carla, tu hai scritto un libro edito dall’Accademia Romanesca. Com’è nata l’idea di scrivere un libro?
Il mio è stato il primo libro edito dall’Accademia Romanesca e si intitola “I Sapori e la Storia”. E’ in sostanza un parallelismo fra la gastronomia della Roma imperiale e quella attuale, molte ricette antiche sono state elaborate da chef stellati o sono entrate a far parte della cucina tradizionale delle nostre regioni. Le ricette sono arricchite da aneddoti e curiosità storiche che legano personaggi di spicco di quell’epoca con le abitudini alimentari.
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