La teoria della reminiscenza platonica ha una collocazione importante nell’alveo delle dottrine innatiste. Essa in particolare esplicita la modalità in cui la nostra conoscenza avviene. Quest’ultima, secondo Platone, non è altro che ricordo di quanto l’essere umano avrebbe esperito prima della sua nascita, cioè nel mondo delle idee.
È impossibile iniziare a delineare la teoria della reminiscenza platonica, senza prima non aver spiegato almeno in linee generali il dualismo e rapporto tra mondo terreno e Iperuranio, tra cose ed idee. Durante la nostra esperienza sensibile, noi ad esempio veniamo a contatto con cose più o meno belle. Se diverse cose possono essere belle, ci dovrà essere qualcosa che esse abbiano in comune e che corrisponde al concetto di “bellezza”. Se nel mondo terreno esistono cose che possiamo giudicare belle anche se diversamente, nell’Iperuranio esiste l’idea assoluta di Bellezza. Le idee sono perfette, immutabili, permanenti e semplici e per questo si differenziano dalle cose che presentano caratteristiche diametralmente opposte. Le idee sono indipendenti dalle cose e sono collocate in un contesto aspaziale e atemporale che è proprio l’Iperuranio. Quanto al rapporto diretto tra cose e idee, le cose sono in un rapporto di mimesi con le idee in quanto ne rappresentano delle copie imperfette, di metessi nel senso che esse partecipano delle idee e ne lasciano intravedere un qualche aspetto, e di parusia, nel senso che le idee sono presenti nelle cose e ne costituiscono l’essenza.
Iniziamo ora a introdurre la teoria della reminiscenza platonica. L’idea di base di Platone si fonda sul fatto che quando entriamo a contatto con la realtà sensibile e veniamo a conoscenza delle cose terrene, quest’ultima in realtà non è altro che ricordo di qualcosa che abbiamo esperito prima della vita in una dimensione senza spazio né tempo, la dimensione cioè dell’Iperuranio. Quando nasciamo e l’anima scende nel corpo carnale, accade che noi serbiamo dentro di noi senza saperlo il ricordo di quanto appreso prima della vita. Nell’atto di apprendimento della realtà sensibile, in maniera automatica noi non facciamo altro che richiamare una conoscenza pregressa e sovrasensibile.
Questa teoria compare in diverse opere platoniche, tra cui il Menone, il Fedone e il Fedro. Nel Menone, Socrate interroga uno schiavo su un problema di geometria. Inizialmente lo schiavo non riesce a ragionare in modo produttivo ma, una volta guidato da Socrate con opportune domande, alla fine perviene alla soluzione del problema. Dal momento che egli non ha ricevuto la risposta diretta da Socrate, ne consegue che dentro di lui ci doveva essere una forma di conoscenza pregressa e innata. Incidentalmente, il processo di estrazione della verità tramite domande adottato da Socrate in questa circostanza è noto come “maieutica socratica”. La maieutica è in realtà la tecnica dell’ostetrica ma nel significato socratico si riferisce all’atto di “far partorire la verità”. In questa immagine si può apprezzare il metodo maieutico socratico, attraverso il quale Socrate aiuta l’interlocutore a “partorire” la verità. Così come il parto naturale comporta difficoltà e travaglio, anche il “parto della verità” avviene attraverso un percorso complesso ma guidato:
Nel Fedone, protagonista è proprio Fedone, amico di Socrate, che mentre stava attraversando la città di Fliunte, incontra dei passanti che gli chiedono di raccontare le ultime ore della vita di Socrate. Fedone riferisce loro un dialogo avuto da Socrate con Simmia e Cebete. Nel dialogo, Socrate si dimostra contento di morire, poiché sicuro di poter far ritorno al mondo delle idee. Nel Fedone, l’immortalità dell’anima viene dimostrata da Socrate, attraverso vari argomenti tra cui quello della reminiscenza platonica. In particolare, si spiega che se nella vita terrena ricordiamo qualcosa che abbiamo già esperito, allora ciò implica che in un tempo precedente alla vita abbiamo appreso ciò che ricordiamo nel mondo sensibile. Di conseguenza, l’anima deve necessariamente essere presente nel mondo delle idee, prima di scendere nel corpo carnale. Ciò prova l’immortalità della stessa anima.
Nel Fedro, si parla di una biga, su cui si trova un auriga, personificazione della ragione. La biga è trainata da una coppia di cavalli, uno bianco e uno nero: quello bianco rappresenta la parte volitiva dell’anima (il coraggio, la forza di volontà) ed è diretto verso il mondo delle idee mentre quello nero rappresenta i desideri e si dirige verso il mondo terreno. I due cavalli sono tenuti per le briglie dall’auriga, cioè dalla ragione che li controlla. Lo scopo dell’auriga è quello di condurre i cavalli verso l’Iperuranio, incoraggiando il cavallo bianco (cioè la parte volitiva) e tenendo a freno quello nero (la parte concupiscibile) al fine di contemplare il mondo delle idee e assorbirne la sapienza, cercando di ritardare la caduta nel mondo terreno e quindi la reincarnazione. Le persone ignoranti sono quelle che sono precipitate subito nel mondo terreno, non essendo riuscite ad essere partecipi della saggezza iperuranica, mentre quelle sagge sono quelle che si sono avvicinate al mondo delle idee e hanno saputo coglierne la sapienza autentica. Ne consegue che i saggi conservano dentro di loro la saggezza prenatale acquisita nel mondo delle idee. L’atto di conoscenza è quindi un richiamo o ridestarsi di questa saggezza.
La teoria della reminiscenza platonica è uno dei primi esempi di innatismo della storia della filosofia. Senza entrare nella querelle tra innatisti e non innatisti, tra razionalisti ed empiristi, posso qui soltanto accennare al fatto che filosofi come Cartesio, Leibniz e Kant sono stati sostenitori dell’innatismo mentre un empirista come John Locke ha sostenuto la tesi in base alla quale l’anima è una tabula rasa, cioè completamente vuota, che può essere riempita solo dall’esperienza. In tempi più recenti, il linguista Noam Chomsky ha osservato come i bambini riescano a produrre delle frasi senza neanche averle ascoltate una volta. Alla base del suo innatismo, vi è la cosiddetta Grammatica Generativa Universale che è innata dal momento che esistono strutture grammaticali innate trasmesse biologicamente.
Nel finale di questo articolo, vorrei proporre un collegamento filosofico – letterario soggettivo. Ragionando sulla teoria della reminiscenza platonica, 12 anni fa ebbi un’intuizione originale: il collegamento con la scena della madeleine di Marcel Proust nella sua opera “Alla ricerca del tempo perduto”. Al rientro da una passeggiata, Marcel da adulto prende una tazza di tè e vi immerge una madeleine. Il gusto del biscotto fa richiamare al protagonista un tempo passato, il periodo della fanciullezza quando era solito mangiare quel biscotto dalla zia Léonie. Il gusto della madeleine fa affiorare nel protagonista ricordi passati, come la vecchia casa grigia del villaggio di Combray, la stanza da letto della zia, il giardino, la città, la piazza e i sentieri di campagna, ma soprattutto le persone che abitavano a Combray. Dal momento che nel tempo presente (quello in cui Marcel è adulto) viene richiamato un tempo passato (quello della fanciullezza vissuta dalla zia Léonie), si può affermare che l’azione di richiamo del passato nel presente corrisponde ad una vera e propria fusione temporale tra presente e passato.
Applicando il concetto di fusione temporale alla teoria della reminiscenza platonica, potremmo affermare che nel momento in cui l’essere umano viene a conoscenza delle cose sensibili, automaticamente viene richiamata la conoscenza pregressa del mondo delle idee. In tal caso, anziché trattarsi di fusione tra presente e passato (come nell’esempio di Proust), si tratterà di fusione tra super – presente (appunto il contesto della vita terrena umana) e super – passato (il tempo infinito passato che precede la vita e che corrisponde alla dimensione temporale dell’Iperuranio). Attraverso il mio linguaggio simbolico, la fusione tra presente e passato tipica della scena della madeleine di Proust diviene enfasi o potenziamento di tale fusione nella teoria della reminiscenza platonica.