Fare una denuncia per mobbing può avere anche delle ripercussioni e dei risvolti negativi. Vediamo quali possono essere. Innanzitutto però prima di parlare di denuncia per mobbing stabiliamo che cos’è il mobbing. In Italia il mobbing viene definito comunemente terrorismo psicologico sul luogo di lavoro. È un’aggressione prolungata consistente in vessazioni e angherie, che vengono definite azioni mobbizzanti e che comprendono un’ampia gamma di comportamenti. Secondo i criteri internazionali perché ci sia veramente mobbing la durata deve essere almeno di sei mesi con la frequenza di almeno un’azione mobbizzante a settimana. Gli attori sono di solito il mobber (il persecutore), il mobbizzato (la vittima), i side-mobber (i complici), gli spettatori neutrali (i bystanders). In caso di presenza di un whistleblower (colui che segnala l’illecito) i comportamenti vessatori talvolta finiscono. Talvolta perché finisca il mobbing basta presentare al persecutore la lettera di un avvocato specialista in materia, che può sortire l’effetto di spaventarlo, di intimorirlo o almeno di metterlo sul chi va là. Ma quando il conflitto ha ormai raggiunto l’escalation e si tratta di vero e proprio odio talvolta non basta neanche questo. Fare una denuncia per mobbing non è semplice: ci sono delle controindicazioni perché ci sono dei limiti legislativi. Vari disegni di legge sono stati presentati in Parlamento, però una legge specifica sul mobbing non esiste, nonostante sia dagli anni Novanta che si conosca il fenomeno del mobbing. Il problema del mobbing inoltre non è sentito come dovrebbe essere nel nostro Paese. Non abbiamo ancora raggiunto riguardo a questa problematica l’attenzione e la sensibilità delle nazioni nordeuropee. Diverse aziende, anche grandi, attuano nei confronti dei loro dipendenti azioni mobbizzanti strategiche, dovute a una visione aziendale di tipo fordista e taylorista, basata sul controllo ossessivo dei lavoratori. Eppure che il benessere psicofisico dei dipendenti sia importante lo dimostrano tutte le ricerche di psicologia del lavoro dalla scuola delle relazioni umane di Mayo in poi. In Italia esiste ancora quella che Enzo Spaltro chiamava la concezione biblica della sofferenza sul lavoro. Invece chiunque deve stare bene sul lavoro e tutto ciò migliora anche il rendimento. Le aziende non percepiscono in modo corretto l’importanza del mobbing in termini di costi e produttività, tant’è vero che solo poche imprese italiane hanno uno sportello antimobbing e/o un codice di condotta antimobbing. E prevenire è sempre meglio che essere denunciati per mobbing! Le azioni mobbizzanti, sotto forma di sfuriate e cazziatoni sono all’ordine del giorno; vengono considerate fisiologiche. Tutti gli esperti di psicologia del lavoro hanno ormai accertato che in Italia la conflittualità sul lavoro è più elevata che negli altri Paesi occidentali, ma che i danni psicologici sono più contenuti, anche se c’è del mobbing sommerso, perché ci sono la famiglia e la comunità che aiutano con il loro sostegno psicologico i lavoratori vessati. Si pensi inoltre che il mobbing è molto spesso stress psicosociale prolungato e/o violenza psicosociale a lungo termine, ma in Italia da questo punto di vista perfino la violenza fisica spesso non viene perseguita legalmente in modo efficace. Essendo il mobbing violenza psicologica, talvolta fare una denuncia per mobbing è problematico. Si pensi solo al fatto che in Italia ci sono circa 1000 morti sul lavoro ogni anno e gli ispettori del lavoro sono pochi, così come sono pochi i controlli: sembrerebbe di primo acchito che non ci sia la volontà politica per fermare questa strage continua. La Corte di Cassazione con una sentenza del 17 agosto 2018 ha stabilito che il mobbing è una malattia professionale; si può quindi essere ritenuti legalmente mobbizzati, ma bisogna dimostrare di essere malati. Da questo punto di vista bisogna ricordarsi che alcuni lavoratori vessati non si ammalano di mobbing perché hanno più resistenza e cioè degli anticorpi psicologici che salvaguardano la loro salute psicofisica. Bisogna inoltre portare prove e/o testimonianze. Il giudice non si basa solo sulla percezione soggettiva del mobbizzato, vero o presunto. E talvolta portare riscontri oggettivi, che dimostrino l’esistenza effettiva del mobbing, non è assolutamente facile. Per fare una denuncia per mobbing bisogna chiedere a un esperto della psiche se esiste un danno psichico, che legalmente è una sottospecie del danno biologico. Ma bisogna essere cauti a farsi fare una diagnosi compiacente. Infatti la controparte potrebbe chiedere gli esami neurologici oggettivi, che accettino realmente l’esistenza del danno psichico, e oggi i correlati neurofisiologici e le diagnosi di natura dei vari disturbi psicologici sono risaputi e provabili, a meno che non siano di entità molto modesta e perciò pochi remunerativi dal punto di vista del risarcimento. In assenza di danno psichico un mobbizzato può chiedere il danno morale e/o esistenziale, ma spesso sono anch’essi poca cosa in termini economici. Non è detto inoltre che anche in presenza di danno psichico si vinca una causa per mobbing. Si veda il caso di Francesco Casarolli, che aveva avuto addirittura un infarto, ma la Corte di Cassazione non ha stabilito che ci fosse causalità tra il grave danno biologico e il mobbing. Un superiore o un’azienda possono sempre difendersi dicendo che il danno psichico accertato non sia dovuto al mobbing ma ad altri eventi della vita del mobbizzato, vero o presunto. Fare una denuncia per mobbing ha i suoi rischi perché i giudici possono decidere che il lavoratore, se perde la causa, debba pagare le spese legali della controparte, che potrebbero ammontare a migliaia e migliaia di euro. Non solo ma chi accusa ingiustamente un superiore o un’azienda di fare mobbing è passibile a sua volta di denuncia e c’è la probabilità remota che debba pagare il danno d’immagine e la conseguente crisi reputazionale del dirigente o della società. Inoltre un conto è mettersi contro un capoufficio di un piccolo comune di provincia e denunciare per mobbing costui. Un altro conto è denunciare per mobbing il titolare di una ricca azienda, che può disporre di grandi risorse economiche per perizie, controperizie, avvocati di grido. Abbiamo le leggende di Davide contro Golia, di Ulisse contro Polifemo, ma spesso nella vita reale il pesce grosso mangia il pesce piccolo purtroppo, volenti o nolenti. Come se non bastasse, spesso chi fa una denuncia per mobbing è stato licenziato o si è licenziato e deve cercarsi un altro lavoro. Chi fa denuncia per mobbing a un’azienda con cui ha lavorato per quindici anni non può omettere nel suo curriculum quell’esperienza lavorativa e da quella società non otterrà non solo buone referenze, ma molto spesso avrà da essa pessima pubblicità e tutto ciò renderà molto più difficoltoso il reinserimento lavorativo. Come si sa i titolari di aziende, anche se sono concorrenti, si parlano tra di loro. Un giro di telefonate al mobber per gettare discredito sul mobbizzato in questi casi costa davvero poco e il vessato difficilmente riuscirà a dimostrare che gli è stata fatta terra bruciata. Anche se il nuovo potenziale datore di lavoro desse ragione al candidato, avrebbe sempre delle perplessità e dei dubbi e potrebbe chiedersi: ma siamo sicuri che questo non sia un piantagrane vittimista che denuncia anche me, se lo assumo? Per tutti questi motivi ci vuole circospezione e cautela a fare una denuncia per mobbing in Italia. Riassumendo: un conto è subire vessazioni e angherie, un altro è essere veramente mobbizzati, un altro ancora è dimostrare di esserlo e vincere una causa per mobbing. Mi si potrebbe accusare dopo queste righe di non stare dalla parte dei lavoratori, ma stare veramente dalla parte dei lavoratori significa, pur con tutta la solidarietà e l’empatia del caso, non sottoporli a dei rischi economici e legali, non farli partire in modo sprovveduto lancia in resta contro il drago (anche se la rabbia per le ingiustizie subite può essere notevole), perché allora oltre al danno si aggiungerebbe la beffa o più probabilmente la tragedia.