“Diciamo bugie quando abbiamo paura.
Paura di ciò che non conosciamo,
paura di ciò che gli altri penseranno,
paura di quello che potrebbero scoprire di noi.
Ma ogni volta che diciamo una bugia,
la cosa che temiamo diventa più forte.”
Tad Williams
Perfetti Sconosciuti è una commedia tutta all’italiana diretta da Paolo Genovese mi ha tenuta con il fiato sospeso per tutti 97’ minuti.
La storia si svolge in una casa, l’occasione della cena tra gli amici è l’eclissi lunare che ci sarebbe stata quella sera stessa. Sarà un caso? La luna che si oscura come oscure sono le anime di chi gelosamente nasconde i propri segreti.
Tutto inizia con un gioco proposto dalla padrona di casa, l’analista Eva (Kasia Smutniak): per la durata della sera i sette amici dovranno mettere la loro vita privata/pubblica/segreta contenuta nella «scatola nera» a disposizione dei commensali, tutti i messaggi che da lì in poi arriveranno, chiamate comprese, saranno sotto le orecchie di tutti i presenti. Chi più restio, chi meno, si concedono a questo gioco, con la convinzione (non troppo radicata) che il conoscersi da una vita fa di ognuno di noi libri aperti.
La sorpresa di questo film è che i veri protagonisti sono i dialoghi, dialoghi che toccano i temi più svariati, dall’amore, al senso della vita, alla “genitorialità” e su questo in particolare c’è chi esprime i mille e motivi dolci che spingono una coppia a mettere al mondo una nuova vita, chi ne vede una necessità affinché sia rinnovato (o semplicemente “salvato”) un matrimonio, chi lo vede come una seconda possibilità di vita (perché il tempo che passa a volte e per alcuni pesa come un macigno) e infine chi semplicemente, trovando il senso della vita in se stesso, non ne sente il bisogno. Viene anche toccato il tema dell’omosessualità che in quel caso pone un interrogativo importante: cosa ci destabilizza dello scoprire che un nostro amico è gay, il fatto che non ce l’abbia detto, o il fatto che lo sia?
Oltre l’immancabile umorismo e ironia che colora le battute che fanno ridere gli spettatori, ci sono anche frasi apparentemente neutrali come quella pronunciata da Carlotta (Anna Foglietta): “bisogna imparare a lasciarsi”, che svegliano la coscienza a chi guarda grazie all’empatia che inevitabilmente lega noi agli attori.
Se la prima parte del film è costruita su dialoghi brillanti e illuminanti su come la tecnologia ha cambiato le nostre abitudini, la seconda parte vede un crescendo di colpi di scena (che ovviamente non sto qui a svelarvi) sino a culminare in quello finale.
È proprio da qui che prende vita il titolo di questa recensione. Senza addentrarci troppo per lasciare spazio nella sorpresa il finale, si rimane con un interrogativo nella mente: è “giusto” ancorarsi nei nostri segreti per non rovinare l’equilibrio che la noia, la quotidianità, i problemi creano, o è “conveniente”? Apparentemente questi due termini sembrano equivalersi, ma il concetto alla loro base è profondamente differente.
“Giusto” è qualcosa che facciamo anche se non vogliamo, mentre ciò che facciamo per “convenienza” lo si fa per comodità propria.
Ciò che emerge è l’ambiguità che caratterizza il modo di essere della bugia – e ovviamente in chi ne fa utilizzo – e questo si può sperimentare anche nella vita quotidiana, basti pensare alla scusa delle “mezze verità” perché quella intera fa male.
Si fa passare così una bugia per “giusta” lasciando da parte la “convenienza”.
Saremo mica ipocriti?
Mi chiedo: non saremo “giusti” quando i segreti con cui tessiamo le nostre vite e che riguardano direttamente quelli che abbiamo scelto come «compagni di vita» fossero svelati proprio perché un rapporto, se sano e vero, si basa proprio sulla lealtà? A mio avviso invece sembra che preferiamo «disinnescare» la bomba della verità attraverso il silenzio, con la scusa che non bisogna distruggere gli equilibri degli altri, quando questo mi sembra essere solo ciò che conviene a noi, anche perché, francamente parlando, non è già distrutto qualcosa in cui servono bugie per farlo (r)esistere?
Il problema non risiede nella tecnologia – anche se indubbiamente ci offre più modi di incontrare Altri – ma nel modo in cui l’essere umano ha deciso di vivere: cedere alle tentazioni perché la vita è una sola e ci si culla nella convinzione che la fedeltà sia un laccio che ci strozza più che amore per l’Altro. Si fanno figli solo per la paura di invecchiare, ci si fossilizza in un matrimonio senza amore solo perché il senso di colpa di abbandonare è troppo forte e perché la routine conviene più di un cambiamento.
Negligenza dei sentimenti, insensibilità nei rapporti ecco cosa mettono in luce questi 97’ minuti.
Più che accendere gli smartphone non dovremo iniziare ad accendere seriamente il cuore e il cervello?
Vanessa Romani