Il Museo di Roma in Trastevere ospita fino al 9 gennaio 2022 la prima mostra antologica dedicata al fotografo siciliano Calogero Cascio ed intitolata “Calogero Cascio. Picture stories, 1956-1971“. Vi consiglio di non lasciarvela sfuggire. Le 100 stampe fotografiche in esposizione ripercorrono l’intera attività del fotoreporter, tra i protagonisti del fotogiornalismo italiano.
Non uno dei tanti
Non uno dei tanti fotoreporter presenti in Italia nella seconda metà del Novecento ma un uomo dalla grande umanità. Nei suoi scatti dedicati in particolare agli umili, agli offesi, ai bambini, agli innocenti vituperati, ritroviamo la verità e l’empatia di Calogero Cascio unita alla condivisione del dolore e del male di vivere.
Calogero Cascio
Calogero Cascio nasce a Sciacca il 20 ottobre 1927. In Sicilia si iscrive alla Facoltà di Medicina e Chirurgia. Nel 1949 si trasferisce a Roma per completare gli studi ed inizia la sua attività di medico. Il lavoro lo porta nelle borgate e nelle baraccopoli romane negli anni del Dopoguerra. Forse fu proprio la sua missione di medico ad avvicinarlo alla fotografia. Per documentare, per non dimenticare le ingiustizie e le sofferenze di cui era testimone. Le prime fotografie, oltre a quelle scattate a Roma, le dedicò alla “sua” Sicilia.
Nei suoi scatti troviamo le contraddizioni di una terra lacerata dalle disuguaglianze. Terra martoriata dalla povertà e dalla fase embrionale di quel cancro politico ed economico che combattiamo ancora oggi e che si chiama Mafia.
La decisione di diventare fotografo
“Non posso spiegare come e perché a trent’anni decisi di cambiare tutto e diventare fotografo” raccontava Calogero Cascio a proposito di quella decisione che l’avrebbe portato a muovere i primi passi nel mondo del fotogiornalismo.
Cominciò a collaborare con il settimanale Il Mondo diretto da Mario Pannino dal 1949 al 1966 e con L’Espresso fondato nel 1955 da Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari. In mostra sono presenti i reportage dalla Sicilia, da Roma, da Milano e poi dal mondo intero: dall’India, dal Sudamerica e dall’Estremo Oriente.
I suoi scatti, in quindici anni di viaggi, sono stati pubblicati sulle più importanti testate internazionali come il New York Times, Life, Paris Match, Stern.
In Italia lavorava trasversalmente per pubblicazioni disparate dal punto di vista politico e sociale come Vie Nuove, periodico legato al Partito Comunista italiano e Famiglia Cristiana, settimanale di ispirazione cattolica.
In giro per il mondo
La curiosità e il desiderio di raccontare lo spingevano a viaggiare per lunghi periodi. Come ha raccontato il figlio Diego in una visita guidata della mostra a cui ho partecipato, Calogero Cascio era un uomo che studiava e leggeva molto, preparava i suoi viaggi ed era animato dal desiderio di raccontare storie per immagini di impronta antropologica, sociologica e politica, caratterizzate però dalla grande umanità e dalla capacità di cogliere in ogni contesto il valore universale dell’uomo.
Fotografia intesa come strumento di conoscenza, rivendicazione e consapevolezza, in grado di tradurre l’universalità delle emozioni senza mai perdere la relazione empatica con i soggetti.
Puntare al nocciolo delle cose
Nel 1963, il più importante critico della fotografia italiana, Piero Ranicchi recensiva così sulla rivista Popular Photography il servizio fotografico realizzato da Cascio nella città indiana di Chandigarh, progettata ex novo un decennio prima da Le Corbusier:
“Calogero Cascio ha il pregio di scrivere nella stessa maniera in cui fotografa: la sua intelligenza visiva lo porta verso uno stile narrativo sciolto e scorrevole, fatto di impressioni e riflessioni, che punta al nocciolo delle cose, scarta le situazioni marginali, affronta gli argomenti con immediatezza, di fronte, senza concedere nulla alla fantasia e al descrittivismo.”
Calogero Cascio usava spesso un obiettivo grandangolo per esaltare la profondità di campo dell’immagine. Il vero protagonista era il personaggio, una figura solitaria come un bambino, un anziano, un povero, una donna.
Spesso illuminati perché protagonisti anche se reietti, disillusi, poveri ed abbandonati.
Caravaggio
Guardando queste fotografie a lungo, mi sono accorta improvvisamente che mi trasportavano con gli occhi e con la mente alle immagini dei dipinti del grande pittore Michelangelo Merisi universalmente conosciuto come Caravaggio. Lo stesso sguardo e la stessa attenzione per i poveri, gli ultimi, gli umili dai piedi sporchi come nel quadro della Madonna dei Pellegrini
e come I bambini di Calogero Cascio che giocano nella periferia romana ma che diventano protagonisti perché ispirati dalla luce della salvezza e della purezza.
Sono immagini fort dalle inquadrature incisive.
Caravaggio fu uno dei primi artisti “fotografi” perché riuscì a tradurre l’immediatezza e la forza del momento dipinto anche grazie all’utilizzo di strumenti ottici precursori dell’apparecchio fotografico.
Nuove sfide
Ed ecco che verso la metà degli anni Settanta Caolgero Cascio interruppe la professione di fotografo per dedicarsi all’editoria, attività che svolse fino alla sua scomparsa a Roma nel 2015.
“Viaggiare è bello quando ci sono cose interessanti da vivere, più che da vedere […] Viaggiare veramente come dico io, non è più possibile. Ecco perchè io viaggio meno di una volta. La situazione giornalistica internazionale è molto cambiata, da quando ho cominciato […] E poi i giornali vanno un pò meno alla ricerca di immagini interessanti: mentre una volta c’era un certo gusto per una scelta di un certo tipo di fotografia, scattata in un certo modo, adesso basta che il giornale abbia la fotografia di un posto, scattata in una data circostanza, la mette lì e basta. Poi ci sono difficoltà oggettive. “Life” sta finendo, “Look” è finito, “Paris Match” è in crisi, i giornali italiani sono senza una lira, resistono forse solo i tedeschi. Per questo anch’io viaggio meno ma senza rimpianti, perché, in fondo, le cose grosse della mia vita le ho viste.” (1972)
Un artista in punta di piedi
Come ha detto il figlio Diego, una delle fotografie più amate dal padre e che lo accompagnava nei luoghi dove studiava e lavorava è quella del musicista ripreso di spalle che, finito lo spettacolo, si incammina sulla strada del ritorno.
Le luci del palcoscenico spente, si esce di scena senza clamori come ha fatto Calogero Cascio.
Sono grata a questo artista per il suo lavoro che non conoscevo prima di questa bellissima mostra. Al di là delle capacità tecniche e dell’abilità nell’indovinare un’inquadratura, è rassicurante sentirsi in sintonia con personalità così profonde. Artisti che riescono a prenderci per mano e ad accompagnarci con delicatezza in un viaggio spesso difficile ma vero. Per aiutarci a capire meglio l’umanità universale in una dimensione senza confini spazio temporali, come nelle modernissime tele del pittore secentesco Caravaggio.
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